Il Mattino – DASPO a chi non indossa la mascherina allo stadio
Sergio Abrignani: «Il rispetto delle norme anti-Covid negli stadi è un problema di polizia e di ordine pubblico. Le regole ci sono, se le persone non le rispettano dovrebbe esserci qualcuno che queste regole le faccia rispettare. Le regole principali sono l’avere il Green Pass, indossare la mascherina e mantenere il distanziamento».
A dirlo, senza mezzi termini, è il professor Sergio Abrignani, immunologo all’Università Statale di Milano e membro del Comitato tecnico scientifico.
Professor Abrignani, negli stadi si dovrebbe mettere uno steward o un agente per ogni fila.
«Non sono un tecnico dell’ordine pubblico ma so che se si vogliono far rispettare le regole, anche allo stadio è possibile farlo. Quando ci sono stati episodi di violenza venne previsto il Daspo. Ogni regola può esser fatta rispettare se c’è un sistema di controllo che educhi al fatto che se una persona viene individuata nel commettere una determinata azione, per due anni non accede allo stadio. Quando c’era il problema dei tappi di bottiglia lanciati contro i giocatori, si veniva perquisiti e le forze dell’ordine erano molto attente. In generale si possono prevedere le regole severe, ma se manca un reale controllo restano lettera morta».
Gli stadi potrebbero essere fonti di focolaio?
«Se fossimo tutti vaccinati, rischieremo molto meno e potremmo fare come gli inglesi».
Agli inglesi arriviamo tra un istante. E’ stato un errore aver riaperto gli stadi?
«No. Bisogna innanzitutto tener conto che qualsiasi vita di comunità dalla scuola, ai mezzi pubblici, agli stadi equivale a prendersi un certo rischio. Ma quando un Paese arriva ai nostri livelli di vaccinazione e adotta il Green Pass, il rischio di contagio è mitigato. Molte attività sono state riaperte anche per dare un privilegio a chi ha il Green Pass e si è impegnato a favore del bene di tutti. Bisogna trovare delle strategie di mitigazione del rischio che siano compatibili con una vita sociale normale, altrimenti scoppia una rivoluzione. Detto questo, in biologia e in medicina da sempre il rischio zero non esiste. Quando si dice che i vaccini sono efficaci contro la malattia grave al 97% e contro l’infezione all’80% si intende proprio questo. E quelli attuali sono vaccini straordinariamente sicuri ed efficaci. Basti pensare che i farmaci oncologici funzionano sul 60% delle persone. Motivo per cui il Green Pass riduce di molto le possibilità di infezione, ma non garantisce una sicurezza al cento per cento».
Quali sono i comportamenti a rischio negli stadi?
«Quando si canta a squarcia gola e si ha l’infezione, si emette molto più virus rispetto a quando si parla normalmente e se non si indossa la mascherina il rischio di contagio aumenta molto. Momenti delicati sono poi il pre il post partita, quando spesso nei pub o nello stare insieme non vengono rispettate le norme sul distanziamento. Così come il deflusso e l’afflusso di persone andrebbero controllati e gestiti in modo attento».
Eppure ci sono ancora molti contrari all’obbligatorietà del vaccino.
«Io sono favorevole all’obbligatorietà ma questa è una scelta politica. Con cinque miliardi di dosi somministrate nel mondo, questi non sono più vaccini sperimentale lo ha certificato l’FDA statunitense e a breve anche l’EMA. Eppure oggi sta prevalendo l’idea che essere novax significhi essere di destra mentre essere a favore dei vaccini sarebbe di sinistra. È una pantomima surreale. C’è chi vuole lisciare il pelo a quel 5% di novax. Se lo chiede a me: con 130mila morti in quindici mesi e dieci punti di Pil bruciati, c’è poco da discutere. Ci siamo dimenticati che fino a marzo avevamo 18mila morti al mese e abbiamo festeggiato quando siamo scesi sotto i cinquecento morti al giorno».
Torniamo agli stadi e all’Inghilterra: dopo la finale degli Europei, gli inglesi hanno contato migliaia di contagi.
«A febbraio di quest’anno gli inglesi avevano 60mila infezioni e 1.500 morti al giorno, pari al 2-2,5%. A luglio sono arrivati ad avere ancora 60mila contagi ma con 100-120 morti al giorno: anziché il 2%, si era scesi all’ 1 per 1.000, che equivale all’influenza normale. Una volta raggiunta questa percentuale in modo molto pragmatico gli inglesi hanno deciso di aprire e di convivere con il virus. In un anno normale in Italia tra novembre e marzo ci sono 12 milioni di contagi da influenza e muoiono tra i tremila e i 12mila italiani per complicanze: eppure non abbiamo mai chiuso il Paese, nemmeno quando giunse l’asiatica o la cosiddetta Hong-Kong. Gli inglesi hanno messo in preventivo che ci saranno alcuni morti in più rispetto a una realtà con le restrizioni ma solo così puoi dare un senso alle vaccinazioni. A questo aggiungono un monitoraggio e un tracciamento importanti».
Eppure ci sono anche i vaccinati tra le persone ricoverate.
«Ad oggi sono state fatte miliardi di vaccinazioni, motivo per cui i vaccini non possono più dirsi sperimentali: su numeri così alti una percentuale minima di casi in cui il vaccino non ha attecchito esiste sempre. Nessun vaccino è sicuro al cento per cento. Con la variante Delta, un vaccinato su cinque si può infettare ma la chance che finisca in terapia intensiva o muoia è molto rara».
A cura di Emilio Fabio Torsello (Il Mattino)