Matuzalem ricorda il periodo trascorso a Napoli: “Purtroppo arrivai in un momento caotico”

Matuzalem: "Toglierò i bambini brasiliani dalla strada. Ho il Genoa tatuato"

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Francelino Matuzalem è tornato in Brasile dopo una carriera lunghissima spesa quasi completamente in Italia: sette le tappe nel nostro stivale inframezzata da un paio di esperienze all’estero. Ha lasciato grandi ricordi nelle squadre in cui ha giocato e dedicato anche un tatuaggio a una di essa. Oggi a 41 anni progetta un futuro sempre nel mondo del pallone: “Penso di iniziare in Brasile e vedere se va bene. Voglio divertirmi con i bambini, poi si vedrà” ci dice. Ai microfoni di Tuttomercatoweb ci racconta cosa fa oggi e ripercorriamo insieme la sua carriera, partita da Natal e che lo ha visto calcare i campi della Champions League e giocare al fianco di campioni come Roberto Baggio:
Francelino Matuzalem, cosa fai oggi?
“Adesso sono tornato a Natal, il paese in cui sono cresciuto, e mi godo la famiglia. Torno spesso in Italia a trovare i miei figli, per fortuna riesco a fare avanti-indietro anche perché in Italia la situazione Covid è ben gestita, in Brasile siamo quasi tutti vaccinati. Quindi ho il permesso di soggiorno, basta fare le cose giuste. Quest’anno sono venuto due volte a vedere i miei figli, primi da novembre penso di tornare”.

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Dove ti vedi in futuro?
“Ho fatto il corso a Coverciano e avevo in progetto di restare in Italia e allenare in un settore giovanile. Poi per motivi personali sono dovuto rientrare in Brasile. Ma l’idea di allenare i ragazzini mi piace, seguire l’esempio di Simone Inzaghi che ha iniziato così e poi è cresciuto diventando un grande allenatore. E poi ho l’idea di aprire una scuola calcio, con campo di footvolley e soprattutto per aiutare i ragazzini che non hanno possibilità. Cercherò di prendere questi ragazzini e toglierli dalla strada”.

Ti rivedi in questi ragazzi?
“Intendiamoci, a casa mia non mancava niente ma so cosa vuol dire vivere queste realtà. Io ho visto ragazzi cresciuti con me che sono andati in galera, oppure sono stati ammazzati. Per questo di essere andato in Italia, mi hanno tolto da questa cultura qui. La mia fortuna è che avevo un sogno: è tutto nato col Mondiale del 1994, vidi il Brasile vincere il Mondiale e mi sono appassionato. Sono stato fortunato perché ho potuto subito giocare all’estero e alla fine ho fatto la carriera che volevo”.

Prima dell’Italia leggiamo di un passaggio al Bellinzona, con qualche presenza e un paio di gol
“Forse in quegli anni formalmente dovevi fare quel passaggio, ma io non sono mai andato a Bellinzona, sono andato direttamente al Napoli. Da anni leggo sul mio curriculum questa esperienza ma io non ho mai visto la Svizzera se non quando magari ci ho giocato in coppa con altre squadre”.

Arrivi a Napoli a 19 anni: che impatto è stato per un ragazzino che arriva dal Brasile?
“Per me lasciare il Brasile è stato difficile, soprattutto perché ai primi tempi non parlavo italiano. Oggi i giocatori si preparano prima, mentre io seppi da un momento all’altro di dover partire. Mi trovo in una città appassionata, in una squadra in Serie B ma con un gruppo forte e giocatori esperti. Siamo saliti in A e per me è stata una soddisfazione enorme esordire nel massimo campionato”.

Peccato che la retrocessione fu immediata
“Ora i tifosi contestano De Laurentiis ma lui ha preso il Napoli e l’ha portato in alto. Se ripenso a quegli anni mi viene in mente il caos: prima Ferlaino, poi Corbelli, poi 4 cambi in panchina in un anno. Andò tutto storto”.

Da Napoli a Piacenza dove entri nella storia del club: primo straniero nonché primo marcatore non italiano
“Mi ha portato Novellino da Napoli, si era innamorato di me e alla prima possibilità mi ha portato a Piacenza. Una grandissima stagione, ho conosciuto giocatori come Di Francesco, Hubner, Gautieri e tanti altri. Una bellissima squadra”.

A Brescia hai la fortuna di giocare con Roberto Baggio
“Un’emozione vederlo vicino, io lo guardavo in TV. Ho giocato nell’Under 17 e Under 20 con Ronaldinho e lui era qualcosa di incredibile. Ma a livello di squadra Baggio mi ha incantato più di altri. Lui è l’ultimo numero 10 italiano, con tutto il rispetto di Del Piero e Totti. Era amato dalle persone, con me parlava tanto e mi dava consigli. A parte il campione in campo lui era molto simpatico e umile”.

Come ci sei finito a Donetsk?
“Dopo Brescia volevo andare in una squadra che lottasse per obiettivi più ambiziosi. Mi hanno proposto lo Shakhtar e sebbene non conoscessi Donetsk al solo pensare di poter giocare la Champions League sono impazzito. Certo, faceva un freddo allucinante ma alla fine mi sono trovato benissimo. E Lucescu mi ha migliorato, facendomi giocare in posizione più avanzata”.

C’è anche una tappa in Spagna, al Saragoza
“L’unico passaggio da dimenticare della mia carriera. Mi ero trasferito perché speravo di essere convocato in Nazionale. Va malissimo, mi faccio male e retrocediamo pure”.

Sei noto per i tanti tatuaggi, uno di essi è dedicato a una squadra in cui hai giocato
“L’unica squadra a cui ho dedicato un tatuaggio è il Genoa. Ho vissuto due anni splendidi e anche oggi ricevo tanto affetto e rispetto nei miei confronti”.

Tra le tappe di fine carriera sei stato protagonista di una grande impresa a Bologna
“Avevo anche la richiesta del Palermo, ma avendo lavorato con Filippo Fusco e era diventato direttore sportivo del Bologna ho deciso di mollare tutto per andare in B in una piazza bellissima. Gioco i playoff, la prima partita mi faccio male e ho dovuto fare tante punture, non pensavo di giocare. E arriva una chiamata: era Ronero Baggio. Mi ha detto: ‘Devi giocare, punto e basta’. Mi sono emozionato e del resto come potevo dire di no?”.

E pensare che potevi già salutare prima
“A stagione in corso arriva la nuova proprietà, con il nuovo ds. Alla fine a dicembre volevano mandar via me, Cacia e altri giocatori. L’allenatore Diego Lopez minacciò di andar via nel caso fossimo stati ceduti e così sono rimasto fino al termine della stagione. Sono riuscito a vincere il campionato, poi a fine stagione mi hanno chiamato, dicendomi che potevo rimanere ma sarei rimasto in panchina. Ho preferito andar via. Peccato, potevo fare una stagione in Serie A”.

Momento più bello della carriera?
“Il solo fatto di aver fatto questa carriera mi fa pensare che abbia vinto. Non ci sono momenti particolari, però gli anni migliori sono stati con Lazio, Genoa e Shakhtar”.

Rimpianti?
“La Seleção, il sogno di tutti i brasiliani. Ma guardando indietro, ripensando al mio percorso non posso che essere contenti. Certo sarebbe stato bello anche vincere la Serie A, in compenso ho vinto la Coppa Italia e la Supercoppa italiana battendo Mourinho”.

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