Sergio Goycochea, il portiere para rigori che con le sue prodezze dagli undici metri accompagnò per mano la “seleccion” fino alla finale contro la Germania.
Una partita in nome di Diego… «Gran bella idea quella di organizzare una partita di lusso di questo genere, i legami tra i due paesi e le due nazionali sono fortissimi grazie soprattutto a Diego. E poi c’è la piacevole coincidenza delle vittorie in coppa America e agli Europei».
Il giusto riconoscimento per il capitano? «Il minimo che si potrebbe fare, Maradona meriterebbe questo e altro. Ricordarlo in quello stadio meraviglioso con una partita sarebbe fantastico».
Peccato non esserci… «Come mi piacerebbe rimettere piede su quel campo trent’anni dopo. E quante cose ingiuste sono state dette: la verità è che i napoletani tifarono per l’Italia ma non offesero Diego né fischiarono il nostro inno, come invece accadde altrove».
Eroe quasi per caso durante quei mondiali perché all’inizio non era stato nemmeno convocato dal ct Bilardo, che invece ebbe un ripensamento di fronte al rifiuto di Islasdi partire come riserva. «L’infortunio di Pumpido nella prima partita mi spalancò le porte della prima squadra, guadagnata con parate decisive sui rigori in quel tortuoso cammino di qualificazione».
Come ha raccontato più volte “elGoyco”, la svolta avvenne a Firenze. «Soffrimmo ai quarti contro la Jugoslavia che ci portò ai rigori, dove sbagliò pure Diego».
L’aneddoto dell’urina? «Avevo bevuto tantissimo durante la gara, faceva caldo e dovevo andare in bagno ma non c’era tempo per rientrare negli spogliatoi tra supplementari e rigori. Allora decisi di farla in campo. Gesto che feci anche al San Paolo per scaramanzia perché non avevo alcun bisogno fisiologico».
In Italia divenne l’anti-Schillaci ma soprattutto si guadagnò la fama di portiere quasi insuperabile dagli undici metri, una dote che va molto di moda in questi tempi. «Bisognerebbe sempre andare nella direzione della palla: occorrono intuito e potenza nelle gambe, non è soltanto questione di fortuna. Io studiavo i movimenti dell’avversario negli istanti che precedevano il tiro e poi mi affidavo all’intuizione».
Finì poi per essere allenato proprio da Maradona ai tempi del Mandiyu «Non ci frequentavamo molto fuori dal campo ma avevamo un legame solidissimo, come quello tra tutti i componenti della Nazionale del’90».
Fece il giro del mondo la scena del Goyco che piange a dirotto in un salotto televisivo quando ricordò il suo capitano. «Non mi sembra vero che non ci sia più, si è portato via un pezzo esaltante della mia vita»
Il Mattino, di Angelo Rossi