Paolo Cannavaro: “Mi rivedo in Locatelli, vi racconto ‘l’Ital/Sasòl’ “
Paolo Cannavaro ai microfoni de Il Mattino
Il Sassuolo, anzi il Sasòl, è una delle isole felici del calcio italiano. «Solo chi lì non c’è mai stato può stupirsi se Locatelli, Berardi e Raspadori ora brillano nella Nazionale. Perché solo lì succede qualcosa che altrove in Italia non viene perdonato a nessuno: si può sbagliare in santa pace e ti perdonano l’errore». Paolo Cannavaro, ora vice del fratello Fabio al Guangzhou Evergrande, è stato per quattro anni una delle stelle dei neroverdi.
Arrivò nel gennaio del 2014 con la squadra ultima in classifica.«E per prima cosa Squinzi decise persino di mettermi il premio personale per il ritorno in Europa League. Io pensai: già è un miracolo se ci salviamo. Ma lui guardava già oltre. Aveva ragione».
Prima c’erano solo le ceramiche, ora l’Italia è pazza per i gioielli del Sassuolo.«C’è la cura dei giovani, lo stadio di proprietà, l’attenzione al fair play e non solo a quello finanziario. La famiglia Squinzi ha sempre voluto incarnare un’idea, un sistema applicabile e una scuola anche di vita. Non era facile lasciare Napoli dove ero quasi certo avrei chiuso la mia carriera ma divenne semplice farlo approdando al Sassuolo, una realtà che mi lasciò subito senza parole. Per organizzazione, stile, attenzione per tutto e tutti».
Poco meno di 41 mila abitanti e undicesimo fatturato della A. Mica semplice?«Per nulla. Peraltro in un sistema come quello della serie A che dovrebbe prendere esempio dalla Premier nella distribuzione del diritti tv mentre nella ripartizione i club come il Sassuolo sono quelli che prendono gli spiccioli. Il sistema non aiuta realtà come il Sassuolo, perché senza avere la Mapei alla spalle sarebbe stato impossibile creare una realtà simile».
Una realtà dove la parola d’ordine non è vendere a ogni costo.«Berardi è lì da anni, lo ricordo con me, un amico vero. Lo chiamavamo Leo Messi perché quello che faceva lui in allenamento l’ho visto fare davvero a pochi altri. L’ho visto contro la Svizzera, esaltante. Ogni estate pare che debba andar via ma quella del Sassuolo è una bottega cara. E pure ambiziosa. Chi va via, poi, lo fa per piazze importanti: Atletico Madrid, Inter, Roma, Villarreal».
Ora una delle stelle è Locatelli. «Un po’ mi rivedo in lui. Non certo per l’età, ovvio. Ma anche per me teoricamente passare dalle pressioni del Napoli al vecchietto che viene a vedere l’allenamento e ti chiede l’autografo anche se la domenica prima hai perso, non era semplice. Locatelli arrivava dal Milan, si è rimesso in discussioni, con umiltà, disposto a tornare a imparare. Non è da tutti, non è una cosa scontata».
Lei è stato anche il capitano?«Il capitano era Magnanelli. Ma per un anno quasi non giocò. Alla penultima di campionato, a dieci minuti dalla fine, entrò in campo. Io feci una corsa dalla mia area di cinquanta metri e gli diedi la fascia da indossare. A fine partita vidi il team manager Remo Morini quasi con le lacrime agli occhi per quel gesto. Si era commosso, non se lo aspettava. Ma davvero il Sassuolo crea un clima unico. A volte ti mancano i ragazzini che arrivano al campo in bicicletta o quelli che ti fermano per darti coraggio perché le cose vanno male. Ecco, il Sassuolo è come la famiglia felice del mulino bianco del calcio italiano di quella famosa pubblicità».
Infatti i suoi figli sono ancora lì.«Manuel gioca nella Primavera e Adrian nell’Under 17. C’è la dimensione giusta per crescere calcisticamente, in un ambiente che ti protegge, non ti fa montare la testa, ti fa sempre tenere i piedi per terra. Locatelli, Berardi e Raspadori ne sono l’esempio di cosa significa giocare nel Sassuolo».
Lei ha fatto parte dell’ossatura storica?«Sì, eravamo ultimi con 17 punti quando arrivai. Ci salvammo e da lì in poi arrivarono anche altri calciatori di livello. La mia presenza credo che abbia aiutato a convincere che quel club non era una meteora del calcio italiano, il piccolo borgo capitato per caso tra i grandi e destinato a scomparire. Infatti è ancora lì. Nonostante la scomparsa del signor Squinzi ma con i figli che ne seguono il cammino e l’amministratore delegato Carnevali che è l’altro grande artefice di questa realtà».
Andò via dopo 4 anni indimenticabili.«Squinzi e Carnevali mi scrissero dei messaggi straordinari. Mi dissero che erano loro a ringraziare me perché con il mio arrivo avevo aiutato il progetto di crescita del Sassuolo».
Pino Taormina (Il Mattino)