Amarcord – Rubrica di Stefano Iaconis: “Il guerriero di feltro”

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Ottobre e novembre. Due mesi scritti nel destino di Salvatore Bagni. Ottobre come novembre. Mesi di calcio, morte, vita. Mesi di storie intrecciate, annodate strette strette tra loro. Mesi di gioia, di dolore. Mesi di presagio. Salvatore Bagni. Il guerriero. L’ uomo dal temperamento siciliano ed il dolce, quieto sorriso emiliano. Un sorriso come morbido feltro. In un animo temprato nell’acciaio. Salvatore era figlio per metà di una terra, per l’altra metà dell’altra. Fu in novembre, in un pomeriggio di sole, che incontrò il San Paolo per la prima volta. Lui ancora non lo sapeva, né poteva immaginare, che avrebbe scritto pagine di storia irripetibile, su quel prato. Era il sei novembre del 1977. Ed il suo Perugia, nel quale era arrivato dal piccolo Carpi, e con il quale da qualche mese aveva conosciuto la serie A calcistica, si esibiva contro il Napoli. Era il Perugia di Castagner e Ramaccioni. Quello che avrebbe poi lottato contro il Milan, finendo incredibilmente imbattuto, ma non campione d’Italia. La settimana prima, il 30 ottobre, contro la Juventus, sotto un diluvio torrenziale, su un campo ridotto ad una risaia, Renato Curi aveva incontrato la morte. Un arresto cardiaco in campo. I soccorsi erano stati tempestivi, ma il piccolo centrocampista perugino, non ce l’ aveva fatta. Una tragedia indimenticabile. Il San Paolo, in quel minuto di silenzio infinito, tributò, un applauso interminabile al piccolo Perugia ed al suo piccolo, grande, sfortunato centrocampista. Il Napoli imperversò su un Perugia ancora sotto choc. Nei primi trentaquattro minuti, Savoldi ne fece tre. Poi il Perugia risalì, piano. Un rigore di Amenta, poi, ad una manciata di minuti dalla fine, Salvatore realizzò il gol del due a tre. Il suo secondo gol in massima divisione. A vent’ anni compiti da poco. Al San Paolo. Un segno. Perchè in quello stadio ci sarebbe venuto a giocare. A scrivere una storia che resterà eterna. A vincere. Il primo gol con la maglia azzurra, naturalmente in ottobre. Il suo sorriso correndo mulinando il braccio, nell’ estasi della festa, come un autunno che faceva fiorire emozioni di primavera. In un Napoli-Verona 5 a 0. Quello del gol di Diego da una cinquantina di metri, con il povero Giuliani finito in rete con il pallone. Un balzo di testa, prepotente, su assist di Maradona da calcio da fermo. Bagni, il guerriero. Che in un ottobre romano, in un altro autunno, dentro uno stadio Olimpico che ospitava un Roma-Napoli, ruppe il gemellaggio storico tra giallorossi ed azzurri. Con un gesto che rimase per sempre. Il Napoli che si ritrova in nove contro undici. Una partita feroce, Careca e Renica espulsi. Trova il pareggio Francini. Al morire del match. Diecimila napoletani ad esplodere. E lui, Salvatore, che uscendo dal campo, fa il gesto dell’ ombrello alla Sud. Successe l’apocalisse. Lui mostrò il ghigno, quel sorriso sardonico, che non era mai sberleffo, un sorriso sempre intriso di dolcezza. Feltro ed acciaio. E quel gol al Milan, nel torneo di una rimonta fino al terzo posto, dopo un girone di andata da incubo, nonostante Diego. Partì dalla sua metà campo, Bagni, saltando tutti i rossoneri in corsa e chiudendo di destro nell’angolo basso. Un gol da fuoriclasse, da guerriero. Un fuoriclasse guerriero sempre a gambe larghe su quel prato verde. Mediano, terzino. E centravanti. Una volta contro l’Avellino. Tre a zero sotto il diluvio. Senza mai lesinare una sola stilla di sudore. Quel suo sorriso, morbido feltro, ancora nel giorno dello scudetto. Nel ventre di un San Paolo pavesato a festa. Il torace nudo con uno scudetto appiccicato sopra. Quel tricolore che lui anche aveva reso possibile. Ottobre e novembre. Un autunno nel quale trovò la morte suo figlio. In un incidente. Un’ altra tragedia. L’air bag della Mercedes che esplode e decapita il piccolo Raffaele. Alla guida sua moglie. Quei suoi capelli neri, i capelli di Salvatore che imbiancano precocemente. Era ottobre. E poi un mese dopo, il tre di novembre, la salma di Raffaele trafugato dal cimitero di Cesenatico. Una richiesta di riscatto di trecento milioni. Il sorriso di feltro di Salvatore che si piega. Come l’acciaio del suo animo. Feltro ed acciaio che si fondono. Nel crepuscolo di un autunno che non sarà mai più primavera.

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Stefano Iaconis

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