Domenghini: “L’uomo in più sarà Mancini, è come Valcareggi, non ha paura”
Non si vedono da qualche anno, ma la loro è amicizia vera. Angelo Domenghini e Roberto Mancini, quella partitelle sulla spiaggia in Sardegna hanno rafforzato un rapporto già solido. Angelo era in campo nel 68 quando l’Italia vinse il suo unico Europeo, Roberto, stasera farà il suo esordio all’ Europeo. Come CT.
Cosa rappresentò per voi la spinta del pubblico in quell’Europeo casalingo? «Se lo definiscono fattore campo non sarà certo un caso. Giocare davanti al tuo pubblico ti aiuta. Soprattutto se in campo c’è la Nazionale che unisce come nessuna altra squadra al mondo. Ricordo perfettamente la spinta da parte dei nostri tifosi sia a Napoli che a Roma: furono incredibili. Il nostro uomo in più in campo. E poi quando giochi in casa ci metti un’altra applicazione, oltre al fatto che si tratta di un bel problema per gli avversari. Mi spiace che l’Olimpico non sarà pieno, ma rivedere i tifosi sarà già qualcosa di importante».
Il momento più bello del suo Europeo? «Troppo facile da dire: la vittoria. Perché l’obiettivo di ogni calciatore è quello. Il resto non conta».
E voi ci siete arrivati con due partite storiche…«La semifinale di Napoli fu tiratissima e infatti ci qualificammo solo con il lancio della monetina. Rivera si fece male, ma rimase in campo stoicamente per non mollarci. Soffrimmo tanto ai supplementari, qualcuno ci guardò da lassù e decise che in finale dovevamo andarci noi».
E poi Roma...«Le finali, magari».
Certo, la prima e poi quella ripetuta il giorno dopo. «Sì perché nella prima finale aveva giocato meglio la Jugoslavia, ma la mia punizione ci permise di pareggiare e andare alla rivincita del giorno dopo quando la musica fu tutta nuova».
Di chi fu il merito? «Di Valcareggi. Fu geniale».
Perché? «Non ebbe paura di cambiare cinque pedine rispetto al giorno prima e quella scelta fu decisiva. Noi eravamo più freschi, loro bolliti fisicamente e mentalmente. Quella fu la mossa vincente. Cambiammo modulo: due punte e quattro centrocampisti e per la Jugoslavia non ci fu scampo».
E oggi che Nazionale vede? «Un bel gruppo, proprio come eravamo noi».
L’uomo decisivo? «Roberto, ovviamente. È come Valcareggi: un genio, un visionario, uno che predica un calcio spregiudicato in un’epoca in cui si tende sempre a speculare e a stare dietro alla linea del pallone. Lui come Ferruccio non ha paura. Mancini ha avuto la fortuna di trovare 5-6 giovani di qualità, ma poi ci ha messo del suo. Li ha amalgamati alla perfezione e gli ha messo in testa le sue idee di calcio offensivo. Mi piace questa Nazionale che imposta il gioco e vuole imporsi in mezzo al campo. Una novità che ci fa bene».
C’è un Domenghini in questa Italia? «Direi proprio di no. Oggi le caratteristiche sono completamente diverse. Si gioca un calcio totalmente diverso. Impossibile fare dei paragoni».
Ma un calciatore che le piace ci sarà… «Certo: Barella. Sembra che sia nato per giocare a calcio. È tecnico, salta l’uomo e va subito in pressing».
Dove pensa che possa arrivare questa Italia? «Mi auguro il più in alto possibile. Faccio il tifo per il mio amico Roberto e spero possa fare proprio come noi. Abbiamo una squadra giovane ma di talento. Bisogna vincere il girone e poi guardare avanti. Anche perché ci sono tante altre nazionali attrezzate che possono fare paura. Ma io ci credo. Quando vedo Roberto sulla panchina dell’Italia ripenso alle tante estati passate insieme in Sardegna. Quel posto se lo merita tutto e sono sicuro che la sua idea di calcio ci farà bene».
B. Majorano (Il Mattino)