Amarcord – Rubrica di Stefano Iaconis: “Terzo piano, Hotel Sitea”

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Il terzo piano dell’hotel Sitea, lussuosissimo albergo nel centro storico di Torino, da dodici lire a notte a persona, quella sera era un viavai nervoso e continuo da parte di un uomo avvolto da una nuvola di fumo azzurrino. I rumori che arrivavano dalle stanze erano frenetici. Tonfi. E sussurri, misti a risate soffocate. Folate di aria fredda arrivavano dagli stipiti delle porte chiuse, segno che le finestre nelle stanze erano spalancate e lasciavano che il vento gelido di un fine inverno torinese, penetrasse, libero, per poi sgattaiolare fuori lungo i corridoi. Sarebbero invece, quelle finestre, dovute esser sprangate e gli occupanti delle stanze avrebbero dovuto essere tra le braccia di Morfeo da un pezzo. William Garbutt l’allenatore del Napoli calcio, se ne stava con l’orecchio appoggiato sulla porta della 241, la stanza che quel demonio di Attila Sallustro occupava assieme ad Antonio Vojak, suo inseparabile compagno: il diavolo e l’acquasanta come li aveva ribattezzati Michelangelo Beato, il fido massaggiatore. Che adesso se ne stava a due metri dal mister napoletano, torcendosi le mani nervosamente. Il problema, quella notte di marzo del ’33, su quella passatoia foderata di velluto rosso, al terzo piano dell’ albergo Sitea, che ospitava gli azzurri del Napoli, i quali l’indomani avrebbero giocato un incontro di calcio valevole per il torneo della massima divisione, la Juve di Combi, Rosetta, Calligaris, al campo di Corso “Marsiglia”, era che, assieme ai calciatori partenopei, ci alloggiavano le ballerine della rivista di Macario. Il comico piemontese le cui ballerine facevano girare la testa in platea a tutti gli uomini di mezza Italia, quando la rivista era in tournée nelle città della penisola. E che, all’arrivo dei ragazzi del Napoli, nella hall dello splendido hotel a due passi da Piazza San Carlo e dal centro storico, avevano scoccato occhiate di ammirazione, occhiate tutt’altro che rassicuranti per il sonno ristoratore degli azzurri prima del match. Come aveva immediatamente pensato il mister inglese che guidava dalla panchina il Napoli. I sorrisi erano volati da un capo all’altro dell’atrio. Garbutt, i cui occhi frenetici avevano captato segnali inequivocabili, si era, dopo cena, premurato di accompagnare nelle stanze uno ad uno i suoi calciatori, e si era messo di vedetta, sigaretta all’angolo della bocca, maniche di camicia arrotolate, nel lungo corridoio. Assieme a Beato che cercava di farlo ragionare, invano. “Mistèr, lasciateli stare, quelli so guaglioni. Voi così li “scuietate”. Faciteli campa’. Nun voglia mai ‘o cielo che poi domani stanno appucundriati. Chiudite ‘n uocchio, jamme ja”. Niente da fare. Mistèr Garbutt volava da un lato all’altro del corridoio, procurando di fare meno rumore possibile, ed ascoltando ogni piccolo ansito provenire dalle stanze chiuse a doppia mandata dall’ interno. I rumori delle finestre, che si spalancavano, non facevano presagire nulla di buono. Le stanze erano tutte comunicanti e, su quel piano, distribuite nell’ala est, stavano le formose ballerine, in attesa come prede invitanti. “Devono dormire, Michelangelo, domani è match”. Disse Garbutt con la sua parlata strascicata che nascondeva il nervosismo per l’imprevisto. Michelanelo Beato scosse la testa. I rumori dalla stanza di Sallustro si fecero più forti. “ ‘O balcone, mistèr, stanno ascenno po’ balcone”. E soffocò una risata. Goddam”. Strillò mister Garbutt, picchiando forte sull’ uscio. “Attila, Antonio, subito a letto, guardate che divento hungry, eh. Domattina prima di match fate cinquanta round del campo, se non andate immediatamente a sleeping”. Uno schianto tre porte più innanzi. ” ‘A stanza di Innocenti, mistèr, ‘a fenesta ‘a llà”. Strillò soffocando ancora una risata Beato, mentre Garbutt correva dalla parte del nuovo rumore imprecando in inglese. Beato scosse il capo, mormorando: “Cheste so cose ‘e pazzi”. Non sappiamo se quella notte le cose andarono esattamente così, fatto sta che, però, il Napoli perse quella partita, il giorno seguente. La Juventus si impose agevolmente per tre a zero, con una doppietta di Borel ed un acuto di Sernagiotto. Si narra che, al termine della parità, Garbutt, infiammandosi, strigliò i suoi giocatori, ricordando la notte precedente. E che nel silenzio generale, seguito alla filippica, Michelangelo Beato avrebbe esclamato allargando le braccia: “E ve lo avevo detto, che ‘e guaglioni se scuietavano”!

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Stefano Iaconis

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