Marcolin al Cds: “Conceiçao? È uno che ci sa fare, molto eclettico e vincente”

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Tre è il numero perfetto dei trionfi che li hanno incorniciati nella storia di una grande Lazio, e almeno tre sono gli anni trascorsi dall’ultima chiacchierata tra vecchi amici. «È un bel po’ che non parliamo, ma è capitato spesso che qualche amico in comune portasse all’altro i rispettivi saluti. Sa com’è, no?». Certo che si: hey, grande, abbraccialo da parte mia. «L’amicizia resta». E non passa mica quando i protagonisti sanno essere innanzitutto uomini oltre che ex compagni di squadra. Una squadra super, dicevamo, con cui Dario Marcolin e Sergio Conceiçao hanno conquistato uno scudetto (1999-2000), una Coppa Italia (1999-2000) e una Supercoppa (1998). «Da poco ho anche postato su Instagram la foto di quella festa-scudetto», sorride Marcolin, ieri centrocampista dal sinistro raffinato e oggi allenatore e voce tecnica di Dazn. Nonché ex giocatore del Napoli, stagione 2003-04, quella conclusa con la scomparsa del club: la sa lunga Dario, sul mondo del calcio e sulla città. Un ottimo anfitrione: «Beh, magari poi con Sergio ci vediamo in città a mangiare una pizza e gli racconto tutto».  

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Sarebbe un ottimo inizio. «I portoghesi sono un po’ napoletani. Il connubio può essere vincente».
 
È la speranza di De Laurentiis e dei tifosi, dopo la tremenda delusione Champions. «Una mazzata».

E a Conceição toccherà il compito di rigenerare l’ambiente: ci racconti l’uomo.   «Da calciatore era divertente, guascone, uno che sapeva fare gruppo. Ma era anche molto orgoglioso: voleva giocare sempre, altrimenti si arrabbiava molto».  

Beh, un vantaggio: saprà gestire bene gli umori dei suoi... «Direi di sì: sono molto curioso di scoprire questo suo aspetto da allenatore. Tecnicamente e tatticamente, invece, non posso che parlarne bene. E non per amicizia: al Porto ha dimostrato di meritare il posto in cui si trova».

I risultati parlano per lui. Mentre a lei tocca la voce dello spogliatoio. «Beh, vediamo: ricordo che era attento a tutto. Tutto: curava il corpo, si allenava alla grande e faceva caso a ogni cosa. Anche ai voti dei giornali: come dire, andava un po’ coccolato. E poi era un generoso: nonostante fosse un centrocampista estroso e potente che amava attaccare, dribblare, rifinire e anche fare gol, non si risparmiava mai in fase difensiva. Si sacrificava per la squadra».  

Doti che riscontra anche nella metamorfosi in tecnico? «È un eclettico: avendo lavorato anche in Grecia, Belgio e Francia ha orizzonti molti ampi, e nonostante abbia optato per il 4-4-2 in questa stagione con il Porto ha dimostrato di saper leggere le partite e cambiare. Tipo in Champions con la Juve. Ricordandone le diagonali perfette, i raddoppi e l’intelligenza tattica direi che pur avendo una natura offensiva è molto attento alla fase difensiva. All’equilibrio».

Altro da dichiarare?   «È molto credente: in ritiro arrivava sempre con le ginocchia sbucciate perché d’estate andava in pellegrinaggio a Fatima». 

Fabio Mandarini (CdS)

 

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