«Devi capire che qui in Argentina la giustizia cavalca l’onda emotiva perchè siamo fortemente passionali come gli italiani». Giustizia, insomma, quasi figlia del trasporto popolare per Fernando Signorini, storico preparatore atletico di Maradona, soprattutto amico fidatissimo
Dal primo giorno che lo conobbe nell’82, quando «raccomandato» dal “flaco” Menotti si presentò a Diego a Barcellona. «Il suo vero problema è stato quello di circondarsi spesso di persone poco raccomandabili, anche a Napoli era così. Probabilmente quelli che gli erano accanto negli ultimi giorni di vita, non erano il massimo, diciamo così, della professionalità».
Signorini, intanto però cambia il capo di imputazione per l’equipe medica che assisteva Maradona: non più omicidio colposo ma con dolo. «Mi sembra una cosa assurda, una ricostruzione quasi fantasiosa. Per questa ragione ho il sospetto che ci sia troppa emotività in questa vicenda».
La conclusione alla quale sarebbero giunti i giudici della procura di San Isidro è dunque eccessiva? «Ma sì, mi rifiuto di credere che ci sia stato un gruppo di persone che coscientemente abbia trascinato Diego a morire».
La sua idea? «Semplice, per l’ennesima e ultima volta, purtroppo, le persone che gli erano intorno non erano quelle giuste. Saranno stati superficiali, poco professionali ma da qui a dire che sia stato portato alla morte, ne passa parecchio».
E poi parliamo di gente non “imposta”, erano state scelte da lui. «Esatto, questo è il punto che merita maggiori approfondimenti. Maradona ha sempre scelto le amicizie, quelle giuste e quelle sbagliate e non ha mai permesso a nessuno, nemmeno alla sua famiglia, di interferire. Neurologo, infermiere, psichiatra, assistente: parliamo di personaggi che erano stati indicati da lui stesso. Che vengano giudicati per le eventuali incapacità professionali ma trovo assurdo parlare di omicidio volontario».
Accusa che invece viene condivisa da gran parte degli argentini. «Nessuno potrà mai dimenticare quello che ha fatto Diego per l’Argentina e nessuno mai accetterà il modo in cui è morto. È da subito che si è scatenata questa caccia ai responsabili, sarebbe sbagliato se il lavoro dei giudici tenesse conto della passione e delle emozioni del popolo».
Sembra quasi che Signorini voglia difendere Luque e i suoi collaboratori. «Vanno giudicati ed eventualmente puniti per le incapacità legate alla loro professione ma mi rifiuto di credere che quell’equipe medica avesse stabilito un piano per lasciar morire Diego».
Il declino degli ultimi mesi però era sotto gli occhi di tutti. «È stato un declino lento ma inesorabile, si poteva fare di più, ovvio: ma occorreva circondarlo di amici veri e non di gente che gli chiedeva sempre e solo soldi».
Intervista a cura di Angelo Rossi (Il Mattino)