Una scelta di cuore. Anzi due. Bruno Giordano, 64 anni, è probabilmente l’unico ex calciatore italiano che ha una seconda e una terza pelle: le maglie del Napoli, la squadra con cui ha vinto lo scudetto, e della Lazio, quella che lo ha lanciato. E così lo puoi indifferentemente trovare a Napoli ospite della trasmissione dell’ex capotifoso Gennaro Montuori e a Roma nel video dell’inno laziale di Toni Malco, a un evento organizzato dai campioni biancocelesti e alla partita celebrativa del primo scudetto azzurro, al fianco dell’amico di sempre Beppe Bruscolotti Giordano, cresciuto all’oratorio di Trastevere, era stato ingaggiato da Italo Allodi, il super manager assunto da Corrado Ferlaino nel 1985 dopo anni di patimenti del Napoli, più volte vicino alla retrocessione. Ma c’era stata anche un’autorevole sollecitazione, quella di Diego Armando Maradona, che proprio al bomber della Lazio pensava quando disse al presidente: «Prenda giocatori importanti oppure mandi via me». Bruno, core laziale, diventò il simbolo del Napoli e uno degli azzurri più amati. Legò subito con la piazza perché è stato sempre uno del popolo. Lo scudetto e la Coppa Italia nell’87 sembrarono l’inizio di un favoloso ciclo e invece finì tutto dopo pochi mesi, perché scoppiarono tensioni tra Giordano e l’allenatore Ottavio Bianchi. Il club decise di non rinnovare il contratto all’attaccante e lui si trasferì all’Ascoli. Due anni dopo, nel 1990, era in campo nel giorno in cui il Napoli mise le mani sul secondo scudetto. Ma indossava la maglia del Bologna. Bruno non è stato mai considerato un avversario, neanche da allenatore. Quando, ai tempi della serie C, si presentò al San Paolo con la Reggiana, fece un giro di campo applaudito da cinquantamila tifosi azzurri. Ha scritto la storia, è stato uno dei migliori attaccanti del calcio italiano (poche però le presenze in Nazionale: era chiuso da Rossi e Graziani), ma da tempo è fuori da questo mondo. Le partite di calcio le vive da opinionista della Rai, non più in panchina. Non c’è feeling con i patron di Lazio e Napoli, le squadre che rappresentano i pezzi più importanti della sua vita e che avrebbero potuto affidargli un incarico, sicuramente un gesto che sarebbe stato apprezzato dai tifosi. Sedere sulle panchine che adesso occupano Simone Inzaghi e Rino Gattuso era il suo sogno. Ma è andata così. E allora a Bruno non resta che parlare con affetto e, quando occorre, con severità di Lazio e Napoli, osservando da lontano il lavoro del Giordano che è attivissimo nel mondo del calcio: Marco, suo figlio, fa il procuratore in Portogallo e ha recentemente stretto un accordo per esportare in Europa giovani brasiliani con Careca, l’ex compagno di papà, il terzo dente della meravigliosa MaGiCa del 1987.
F. De Luca (Il Mattino)