L’ex Palanca: «Orgoglio, cuore, lavoro: Gattuso è il simbolo della Calabria e del Sud»
Massimo Palanca a Il Mattino:
«Io li conosco bene i calabresi come Gattuso. Lui è lo specchio di quella terra: orgoglioso, vero, sanguigno. Uno che mette il lavoro al centro di ogni cosa, alla faccia dei luoghi comuni che perseguitano il popolo calabrese o quello napoletano». Massimo Palanca, 67 anni, è stato simbolo di una regione orgogliosa e ribelle, bandiera di quel Catanzaro che negli anni Settanta e Ottanta s’insinuò tra le grandi del pallone. Per la prima volta nella storia della Calabria.
Palanca, ora c’è il Crotone.
«Un progetto serio ma diverso da quel Catanzaro creato da Nicola Ceravolo che era lo specchio della realtà che lo circondava, di un territorio che cambiava velocemente. Oggi tutto è diverso: io, con Ranieri, Braglia, Pellizzaro, Silipo e tutti gli altri ci sentiamo e ci vediamo ancora. Quelli di adesso, anche quando non c’è il Covid, escono tutti assieme per mangiare una pizza? Io non credo».
Cosa è cambiato?
«Noi eravamo davvero il Sud. Ci sentivamo come investiti di una missione, con la gente che era emigrata che veniva allo stadio per ritrovare il contatto con le proprie origini. Non eravamo il Napoli che era la grande città con una grande storia. Eravamo, con l’Avellino, l’espressione di posti dimenticati. E che il calcio aveva portato a far conoscere e apprezzare in Italia».
Cosa deve temere il Napoli da questa gara di sabato?
«Ho giocato una vita per non retrocedere ma ai miei tempi c’era un vantaggio non di poco conto: la vittoria valeva solo due punti. E allora aveva un senso il catenaccio, mettersi tutti lì dietro per cercare di strappare il punticino che aveva un valore grande. Adesso, a cosa può servire al Crotone non perdere a Napoli? Poco o nulla se pensa di restare in serie A. Deve provare a vincere e questo significa esporsi al gioco del Napoli che è micidiale».
Per somiglianza fisica le piaceranno da morire Mertens e Insigne?
«Tanto. Perché come tutti quelli che non possono fare affidamento sulla propria struttura sono abili e scaltri. Io ero così. D’altronde, senza un po’ di furbizia non avrei mai potuto segnare 13 gol su calcio d’angolo in serie A».
Era un piede 37 magico il suo...
«Ma avevo il trucco: mettevo sempre Claudio (Ranieri, ndr) o un altro compagno sul primo palo a coprire il portiere avversario. Vivevamo per inventarci queste cose».
Ha pesato nella sua carriera aver giocato solo in squadre meridionali?
«Non ci ho mai creduto. Io ero circondato da strepitosi rivali come Pruzzo, Graziani, Bettega, Rossi, Altobelli. Non ho mai avuto rimpianti. Poi il giorno che sono andato al Napoli è stato tra i più belli della mia vita. Anche se poi è andato tutto storto, per colpa mia ma anche per colpa di altri».
Ce la fa il Napoli a centrare la qualificazione in Champions?
«Senza tutti quegli infortuni, avrebbe potuto avere molti più punti in classifica, forse persino lottare con l’Inter per lo scudetto. Ma davvero è stato sfortunato Gattuso. Poi non deve essere stato facile gestire il momento difficile quasi da solo. O almeno questo sembrava dall’esterno. Ma lui è andato avanti tenacemente, a testa alta. Da calabrese vero».
Dovrebbe restare al Napoli secondo lei?
«Andare avanti con un allenatore bravo conviene sempre. E Gattuso lo è. Anche io, quando, però, andò via Carlo Mazzone dal Catanzaro, pensavo che sarebbe stato un problema e ci rimasi malissimo. ma arrivò Burgnich: segnai 13 gol e mi prese il Napoli». P- Taormina (Il Mattino)