Capello su Gattuso: “Non siamo mai contenti, poi dopo ce ne pentiamo”

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Don Fabio Capello, non solo il Milan degli invincibili, ma è anche l’ultimo allenatore ad aver portato lo scudetto lontano da Milano e Torino. Nel lontano 2001, quando era alla Roma. Ora è protagonista nel salotto di Sky. 
Capello, che giudizio dà a questo secondo campionato ai tempi del Covid? «È stata una serie A in cui la differenza l’hanno fatta il numero dei positivi, le paure, gli infortunati e il momento in cui sono arrivati gli stop per qualche calciatore importante. Ed è evidente che chi ha avuto a disposizione una rosa più ampia, ne ha tratto i maggiori benefici».
L’Inter è ormai irraggiungibile? «Lo è. La lotta per il primo posto è finita quando il Milan è caduto a La Spezia».
Ha parlato di stagione condizionata dagli infortuni. Sotto questo punto, il Napoli deve avere rimpianti? «Molti, molti, molti (lo ripete tre volte, ndr). Davvero un peccato per Gattuso perché tutte quelle assenze importanti non hanno consentito alla sua squadra di esprimersi come avrebbe potuto. Ha subito delle critiche esagerate e ingiustificate. Pure la strada dell’Inter si sarebbe fatta in salita se uno tra Lukaku o Lautaro Martinez fosse stato fuori un mese o due. Come è successo al Napoli con le sue punte».
Gattuso difficilmente resterà al Napoli. Un destino comune in serie A dove in tanti sembrano insoddisfatti del proprio tecnico. «Non mi sorprende, a metà campionato mi pare che anche la permanenza di Antonio Conte era stata messa in discussione all’Inter. Non siamo mai contenti, poi quasi sempre dopo ce ne pentiamo del cambiamento».
Una volta arrivare secondi era una debacle, adesso è come vincere il campionato centrare la qualificazione Champions? «Il calcio è cambiato perché le risorse sono poche e quando mancano, come negli ultimi tempi, un posto nella Champions è fondamentale spesso per il progetto stesso. Perché significa incassare subito e fare la differenza in Italia con le altre. Poi se si va avanti è meglio, ma basta prendervi parte».
D’altronde, da un po’ di tempo il nostro calcio svanisce in Europa. «Dobbiamo cambiare atteggiamento perché in Italia è consentito un modo di giocare che in Champions non va bene. Gli arbitri fischiano continuamente, basta che uno si butti, o venga solo sfiorato e urli che chi lo ha toccato viene punito. Da noi da tempo il calcio ha smesso di essere uno sport di contatto. Se allarghi un braccio in area per saltare ti danno il fallo: ma come si fa a tenere l’equilibrio senza le braccia larghe? Bisogna rivedere questi aspetti, perché così si perde la competitività. Il basket è uno sport dove i contatti sono più tollerati che nel calcio».
E ora ci sono pure i social. «Meno male che a parte un paio di anni me la sono scampata. Ma non è tanto i social dei calciatori perché anche lì puoi gestirli, quello che è impossibile è controllare quello che fa il mondo vicino al calciatore: le moglie, le fidanzate, i fratelli, non sempre dicono e scrivono la cosa giusta per la squadra…».
L’Italia arriva al galoppo a questo Europeo. Può vincerlo? «Lo speriamo tutti. Ma resta l’incognita legata al modo con cui si arriverà alla fase finale, perché avrà un peso non di poco conto la stanchezza. Tutti giocano senza sosta praticamente da giugno e a parte questi tre impegni di questa settimana. La stanchezza avrà un peso decisivo. Ma il ct Mancini ha creato un gruppo bello, giovane, che ha un’anima».
Quale la squadra più squadra che ha visto in serie A quest’anno? «In tante partite, soprattutto nella parte iniziale, ho visto bene il Benevento di Inzaghi. Ma per il modo con cui ha trasmesso il proprio spirito ai suoi calciatori, per la fiducia che è stato capace di trasferire, a me ha colpito molto il lavoro di Juric al Verona». 
Scudetto andato. Restano i piazzamenti per la Champions. Le sue favorite? «Non ne ho. I posti in palio però sono ancora tre perché secondo me il Milan non è ancora sicuro di andarci. L’ultimo chilometro è molto duro, è una volata tremenda, dove c’è tutto il peso di una stagione estenuante». 
Brutto segno un campionato dove la differenza la fa ancora Ibrahimovic che ha, però, 39 anni? «Lui è un fuoriclasse vero, infatti va con la Svezia e fa la differenza anche lì. La cosa veramente triste è che tutti i campioni a fine carriera che vengono da noi come Ribery o Sanchez arrivano e fanno la differenza. Vuol dire che è la nostra base che non riesce a mettersi in evidenza. Ho visto l’Under 21. Ci sono ragazzi interessanti ma mica tutti giocano titolari nei propri club. Ecco, i miei ex colleghi abbiano più coraggio, perché alcuni di questi ragazzi valgono di più di qualche straniero arrivato da noi».
Capello, sono passati venti anni dall’ultimo scudetto al di sotto di Milano. Lo ha vinto lei alla Roma. È sempre così difficile vincere al Sud? «Penso di sì. Ci vogliono programmazione, idee chiare, e i rinforzi giusti al momento giusto, senza bisogno di spendere tanto per spendere, per far contenti i tifosi o solo per fare un investimento. Noi, dopo il primo anno, con il presidente Sensi capimmo che per vincere ci voleva un attaccante di un certo peso perché Montella era bravo ma ci serviva uno strutturalmente diverso. Prendemmo Batistuta».

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P. Taormina (Il Mattino)

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