L’ex Nicolao Dumitru: “Napoli nel cuore. Peccato che quando arrivai non ero pronto con la testa!”
Ultimamente La Mecca del calcio mondiale sembrava essere l’Estremo oriente che ha fatto spesso rima con Pechino o Shanghai. Al massimo Guanghzou o Dalian, ma praticamente mai ci si era spinti fino a Suwon: capoluogo della provincia di Gyeonggi, Corea del Sud, città da circa 1,2 milioni di abitanti, 30 km a sud di Seul, diventata da qualche settimana la nuova casa di Nicolao Dumitru, a Napoli dal 2010 al 2016.
Ad oggi cosa le riportano alla mente Napoli e il Napoli?
«Non mi piace guardare al passato con tristezza. Quindi porto con me ricordi bellissimi, pur essendo consapevole di essere arrivato a Napoli quando ancora non ero pronto di testa».
Perché?
«Passare dalla Primavera dell’Empoli al Napoli è stato un salto importante. Ero poco più che maggiorenne, avevo fatto poche presenze in prima squadra e poi ero alla mia prima vera esperienza lontano da casa: con qualche anno in più avrei potuto dare un apporto diverso. E poi ho avuto la sensazione che poco alla volta non facessi più parte del proteggo tecnico azzurro».
Rimpianti?
«Qualcuno sì. Rimpiango il fatto di non aver programmato bene la mia esperienza a Napoli, vedendo i tanti giovani che sono riusciti ad avere un percorso migliore».
E la sua di esperienza quale è stata?
«Mazzarri mi ha fatto esordire facendomi anche giocare per 9 volte entrando sempre dalla panchina. Poi qualche convocazione l’ho ricevuta anche con Benitez che mi ha colpito per la semplicità con la quale parlava di calcio e si rapportava al giocatori, anche quelli che non erano top. Con Sarri ho giocato qualche amichevole estiva dopo aver sostenuto l’intera preparazione: la sua idea di calcio era visionaria e infatti è stata apprezzata da tutta Europa».
Con i calciatori è rimasto in contatto?
«Molto con Dezi che sento ancora oggi., Mentre fino a qualche anno fa ero in contatto anche con Lorenzo Insigne. Poi Hamsik: a Napoli eravamo vicini di casa. Ogni tanto ci commentiamo le foto su Instagram: è bello sapere che trova il tempo per me tra i mille messaggi che riceve. E poi Michu. Siamo rimasti in ottimi rapporti, e quando è diventato dirigente dell’Oviedo ha anche provato a portarmi a giocare lì».
In Spagna ha giocato all’Alcoron e al Gimnastic, ma ha giocato anche in Inghilterra, Romania e Grecia…
«Ho sempre voluto provare più campionati. Sono figlio di papà romeno e mamma svedese, la mia compagna è danese, ci siamo conosciuti in Russia e nostro figlio è nato in Italia, a Firenze. Insomma: girare il Mondo è nel mio dna».
E ora la Corea: che impatto ha avuto?
«Sono qui da due mesi: mi manca il cibo europeo e con la lingua è un disastro. Per il resto tutto alla grande».
Ma lei non parla 5 lingue?
«Sì, ma non il coreano. Qui si parlano coreano, giapponese e mandarino. Mi sono iscritto ad alcune lezioni, ma è durissima. L’inglese non lo parla nessuno. Abbiamo un traduttore che segue me e gli altri due stranieri, un canadese e un serbo. Altrimenti senza saremmo persi. Quando non c’è uso Google traduttore con il telefono. Di leggere la loro scrittura, poi, non se ne parla proprio».
E il cibo?
«Non ne parliamo. Qui si fa colazione con carne piccante. Non riesco ancora ad abituarmi. Per ora mi arrangio con il riso».
Mentre il calcio?
«Si lavora molto sull’aspetto fisico. Tutti corrono tanto, ma tatticamente è un’altra storia rispetto all’Europa. Anche per questo cercano di inserire tanti europei che possano elevare il tasso tecnico e tattico. Giochiamo con il 3-5-2 e per ora sto facendo la seconda punta, ma l’idea dell’allenatore è passare al 3-4-3 e farmi giocare esterno d’attacco. Con il Suwon Bluewings siamo quarti e puntiamo ai playoff. Che bello il pubblico: perché qui gli stadi sono aperti al 10% della capienza, quindi in ogni partita ci sono sempre almeno quattromila spettatori».
La situazione Covid?
«Qui è tutto aperto, niente lockdown. Alle 22.30 iniziano le chiusure delle attività, ma non ci sono restrizioni. La mascherina la usano tutti, ma più che altro per l’aria inquinata. La usavano anche prima». B. Majorano (Il Mattino)