Il 4-2-3-1 di Mancini ha il baricentro di qualche metro più alto, rispetto a quello di Gattuso, anche per la presenza di un centrocampista a completare la catena di sinistra. Se la presenza di Verratti alle sue spalle consente a Insigne determinati movimenti, è la fase di possesso a presentare una peculiarità. Più ancora che nel Napoli, Mancini ha chiesto all’Insigne versione Italia di accentrarsi molto di più, di catalizzare il penultimo o terzultimo passaggio della manovra. Sono Verratti e soprattutto Spinazzola ad andare sul fondo, a occupare la posizione di esterno alto a sinistra: al capitano del Napoli è affidato il compito di trovare il passaggio-chiave e creare lo spazio in quella che è la nutrita linea a cinque bulgara. Insigne, inoltre, è anche investito del compito di cercare la profondità. Quando il giro-palla diviene lento, Insigne si sposta in posizione di trequartista puro, da numero dieci a tutti gli effetti, perché il ct ha la necessità di trovare palloni giocabili, di alzare il ritmo stucchevole del primo tempo dell’Italia. Ed è in questa posizione che Insigne riesce a cambiare l’inerzia di una gara spenta e brutta: sempre da trequartista, sempre spostato sul lato mancino, che trova un angolo perfetto per servire Belotti. Un rasoterra, un angolo perfetto che vale il controllo di Belotti, l’atterramento del Gallo e il rigore trasformato, poi, dallo stesso attaccante del Torino. Nella ripresa un po’ si fa da parte, Lorenzo. Ma la sua presenza si fa sentire come nel Napoli: comincia a macinare metri avanti e indietro. Mancini, come Gattuso, non riesce a fare a meno del supporto che a centrocampo e in difesa riesce a dare il capitano del Napoli.
Il Mattino