Dopo aver militato con la maglia della Fiorentina ed esserne stata il capitano, Alia Guagni ha deciso di intraprendere una nuova avventura all’Atletico Madrid. L’ex viola racconta la sue esperienza in Spagna e sul momento del calcio femminile in Italia.
L’infortunio ha complicato un po’ le cose, ma come valuta questo inizio all’Atletico Madrid? “È una bellissima esperienza, sono veramente contenta di aver fatto questa scelta anche se è un anno particolarmente difficile. Siamo state ferme parecchio, non ci siamo potute allenare: quando sono arrivata qui ne ho risentito fisicamente, però sono davvero contenta di fare questa bellissima esperienza”.
Non è la prima volta che lascia Firenze, anche se nelle volte precedenti lo ha fatto sempre in prestito. Cosa l’ha portata a un trasferimento definitivo all’Atletico? “Quando sono andata a giocare in America era un campionato estivo, ne approfittavo della pausa qui in Italia. Sono andata per tre anni, ma era per fare un’esperienza alternativa di calcio. Qui si tratta di aver preso questa decisione in un momento – probabilmente l’unico della mia carriera -, in cui avevo bisogno di qualcosa di nuovo, di rimettermi alla prova e rimettermi in gioco. Era il momento perfetto per poterlo fare”.
È stata una decisione anche per poter provare a vincere anche qualche trofeo internazionale? “In realtà è stata una decisione per rimettermi in gioco. Mi hanno sempre criticato di aver avuto la vita semplice e di non aver mai rischiato. Per la prima volta ho voluto buttarmi e provare a mettermi alla prova, in un paese diverso, in un campionato più competitivo e in una squadra professionistica. È ovvio che non mi sarei mai spostata se l’offerta non fosse venuta da un club importante come l’Atletico Madrid. Mi è sembrata la scelta giusta al momento giusto e ne sono contentissima perché sto vivendo sfide importanti e stimolanti che ogni giorno accrescono il mio bagaglio di esperienza”.
Con il trasferimento in Spagna si è avvicinata parecchio al concetto di professionismo. Cosa cambia rispetto alla situazione vissuta in Italia? “C’è una differenza importante: ti fanno sentire di essere una professionista e ti mettono nelle condizioni di poter far questo e di dover pensare soltanto a stare bene in campo. Ti senti un professionista e non devi pensare ad altro. È una cosa che in Italia manca. Io rientravo in una categoria fortunata visto che giocavo in una società importante, ma se penso al campionato italiano c’è una differenza abissale. All’Atletico hanno un centro sportivo dedicato, ci sono tantissimi campi e palestre, ma anche persone a disposizione quotidianamente. È una realtà diversa”.
Al momento non ci sono molte italiane nei club stranieri. Pensa che in futuro ci saranno più azzurre nei campionati top anche per poter rinforzare poi il gruppo della nazionale? “Secondo me il problema grande è stato il livello. Lasciando l’Italia ti ritrovi a dover affrontare un livello superiore, quindi magari c’era un po’ di timore a fare un’esperienza all’estero, magari c’era la possibilità di giocare meno. Però le cose stanno cambiando da quando sono arrivate le società professionistiche e da quando si sta investendo sul calcio femminile, ma anche coi risultati che stiamo ottenendo con la nazionale: tutto ciò aiuta ad avere una visibilità diversa”.
Il mondiale del 2019 è stato un punto di svolta per far conoscere il calcio femminile? “Il mondiale è stato un punto di svolta, è capitato in un momento favorevole. Siamo riusciti a ritagliarci il nostro spazio, è stato fatto anche un gran lavoro a livello mediatico per far vedere tutte le partite internazionali, non solo l’Italia, e per far vedere che il calcio femminile non è quello dell’oratorio, ma può raggiungere livelli importanti”.
Tante squadre italiane stanno cambiando proprietà e spesso ci sono nuovi presidenti stranieri, come nella Fiorentina con Commisso. La presenza di una mentalità differente può fare la differenza anche per quanto riguarda il calcio femminile? “L’ho vissuto con Commisso, quando è arrivato ha portato tanto entusiasmo e ha aperto al calcio femminile. Lo ha fatto capire sin da subito, cerca di dare le stesse possibilità ad entrambe le squadre. È vero che ci sono dei limiti, il primo l’ho vissuto personalmente con la Fiorentina: parlo degli impianti sportivi. È difficile lavorare, l’ho vissuto per anni ed è complicato. Commisso vuole creare un centro sportivo dedicato: sarà l’inizio della svolta, con un centro a disposizione cambia il lavoro, ma anche le possibilità. Cambia ciò che puoi offrire all’estero, se ad esempio vuoi aumentare il livello portando delle calciatrici straniere. È difficile che tu riesca a portarle se non offri determinate cose, tra cui appunto un impianto sportivo. I presidenti, se vengono vengono dall’estero, hanno una mentalità diversa. Magari così si riesce a spingere per poter lavorare anche sul calcio femminile”.
Come valuta il momento attuale della nazionale, anche in vista dell’Europeo? “La nazionale, nel post mondiale, ha avuto un po’ di difficoltà. Eravamo un po’ scariche, avevamo speso parecchio. Ci abbiamo messo un po’ per riprendere il ritmo, poi abbiamo recuperato e abbiamo fatto delle buone qualificazioni. Siamo riuscite a qualificarci ad un europeo e non è mai semplice. Tutti sappiamo che la qualificazione europea è più difficile, le squadre più forti nel calcio femminile sono in Europa. Siamo contentissime, non vediamo l’ora di affrontare queste partite. Sarà un anno complicato anche perché nella prossima stagione inizieranno le qualificazioni al mondiale e dovremo iniziare a preparare l’Europeo, ma abbiamo tanta voglia di far vedere che il mondiale non è stato un caso”.
Professionismo in Italia: qual è la base da cui si deve partire? “Le donne nello sport non possono essere professioniste per legge. Adesso si stanno facendo cambiamenti importanti. Le discussioni sono state già rimandate di un paio di anni, ma se ci si muove a livello di legge è un buon inizio. Quello per cui lottiamo ogni giorno non è essere considerate o essere pagate come il calcio maschile. Quello che viene chiesto è che ci venga riconosciuto quello che facciamo ogni giorno. Se faccio la calciatrice e lo faccio in serie A, faccio la Champions League e vado in nazionale, e lo faccio quotidianamente, perché non mi deve essere riconosciuto come lavoro? Ci sono una serie di criticità che sono quelle che ci interessano di più. Non si tratta di prendere uno stipendio elevato, ma percepire una cifra per potersi mantenere e non perdere tempo. Cosa cambia rispetto a prima? Tante, arrivate a un certo punto dovevano mollare. Non si può fare una cosa bene se la si fa a tempo perso”.
C’è però chi dice che il calcio femminile è totalmente diverso da quello maschile. “Il calcio è calcio, è uno sport bellissimo che viene praticato da uomini e donne. Abbiamo le stesse regole, giochiamo nello stesso campo. Ci può essere un’intensità diversa? Ma se si perde da un lato si guadagna in sincerità e in calcio puro. A volte si guadagna in spettacolo, il calcio maschile è diventato talmente tanto fisico che si è perso lo spettacolo. È lo stesso calcio”.
Per chiudere: cosa vuole fare Alia Guagni da “grande”? “Mi piacerebbe rimanere nel calcio e poter dare il mio contributo al di là del terreno verde. La scelta di fare questa esperienza è anche legata al mio futuro, volevo vedere le cose come funzionavano in un altro paese. Quello che mi porterò dentro mi servirà anche per il futuro”.
Fonte: Patrick Iannarelli Tmw