L’ex azzurro Zeman sulla nostra Europa: “Siamo indietro fisicamente, tecnicamente e anche tatticamente”
Sotto le macerie di questa campagna invernale, ci sono i segni d’una involuzione che affonda come nella neve: l’Italia, nel suo giro d’orizzonte nel Vecchio Continente, sa (esclusivamente) di Roma e più che i processi adesso servono le analisi, le tesi, in attesa che arrivino le soluzioni. C’è un Paese, una volta Bel, che ha smesso d’incantare o semplicemente di vincere; e c’è pure un campionato che s’avvia a una conclusione vagamente annunciata, privo di pathos e con uno scudetto che può essere assegnato prima del tempo minimo. Poi c’è la corsa alla Champions, il quarto posto, che dà soldi mica solo prestigio, e che lasciando intravedere Roma-Napoli nel suo orizzonte, spinge verso i «silenzi» rumorosi di chi ha sempre qualcosa da dire, attaccando per inseguire verità che da qualche parte dovranno pur nascondersi: perché lasciandosi trascinare dal tridente di Zeman, persino da quello della sua memoria, non c’è la possibilità di perdersi nella banalità o nella noia.
L’Europa ci ha bocciato ancora, Zeman, e ormai da un decennio non c’è più gusto della vittoria. È giusto parlare di crisi internazionale?
«Mah! Penso che siano vere tante cose: per esempio che siamo indietro fisicamente, tecnicamente e anche tatticamente. E nessuno nega che, per natura nostra, non siamo mai stati grandi lavoratori. Però sta succedendo anche altro e di questo bisogna tenerne conto».
Le condizioni difficili esistono per tutti.
«Per noi di più, evidentemente, alla luce di quello che succede. E comunque, avendo qualcosa già da recuperare, il virus e ciò che ha scatenato hanno dilatato il gap. Il problema è ampio, di un’ampiezza che lascia anche disorientato, ma siano concesse le attenuanti generiche».
La delusione più grossa?
«Faccio fatica a fotografarne una sola: la qualificazione della Roma ai quarti come unica squadra italiana è l’ennesimo campanello d’allarme. Vuol dire che qualche errore – ovviamente – si è commesso, se in precedenza sono uscite tutte».
Si ironizza: l’Inter per vincere lo scudetto, evento assai probabile, ha dovuto sacrificare la Champions e i suoi milioni.
«E invece seriamente io dico che in quel momento l’Inter non era convinta delle propria forze. Resto convinto che giocare ogni tre giorni sia possibile e che una squadra con quell’organico potesse permettersi il doppio e triplo impegno. Però, rivado a quei giorni e ripenso che all’epoca, probabilmente, Conte e i suoi non fossero pienamente consapevoli della loro consistenza. Succede» A. Giordano (CdS)