Tra Diego Maradona e il fisco il durissimo confronto era iniziato trent’anni fa. Nel 92 si ipotizzò un’evasione per 5 miliardi di lire, però i legali dell’argentino chiarirono: «Non dobbiamo nulla». La questione era molto complessa. Sei erano stati gli avvisi di accertamento a carico di Diego. Secondo l’Agenzia delle entrate si trattava di pagamenti in nero. Gli avvocati del Napoli e di Alemao e Careca presentarono i ricorsi, accolti dalla Commissione tributaria di secondo grado nel 1994. E Maradona? Chi assisteva Diego non lo fece e il presunto debito venne ingigantito dagli interessi di mora, arrivando – era il 1999 – a 60 miliardi di lire. Secondo l’avvocato Pisani, Diego era nell’assoluta impossibilità di interessarsi della questione perché ricoverato a Cuba, dove periodicamente si recava per disintossicarsi dalla cocaina. Mentre la cifra della presunta evasione lievitava (quattordici anni fa era di 34 milioni, dei quali 20 di interessi di mora), Maradona fu avvicinato dall’avvocato Pisani. Si cambiò strategia. Ma il ricorso del 2013 venne respinto dalla Commissione tributaria centrale. Pisani si sarebbe rivolto alla Cassazione, quindi. Ieri la pubblicazione della favorevole sentenza. Ma il Napoli – o meglio, la curatela fallimentare del 2004 – ha pagato le rate del condono, dunque non vi sarebbero ulteriori versamenti in sospeso. In questo procedimento, da avviare entro tre mesi, dovrebbero subentrare al defunto Maradona i suoi 5 eredi accertati dal tribunale di Buenos Aires: i figli Dalma, Gianinna, Diego jr, Jana e Diego Fernando.
Il Mattino