«Sono le 15 in punto del 18 settembre 1955 e l’arbitro ha appena fischiato l’inizio di Napoli-Torino. Tocco per primo la palla passandola a Castelli, e mentre lui serve indietro per Granata, io scatto verso l’aria avversaria». Iniziano più o meno di pari passo l’esperienza azzurra di Luis Vinicio e la sua biografia (Il leone di Belo Horizonte, scritta con Paquito Catanzaro per Homo Scrivens, euro 15, pagine 199). L’azione finisce in gol, dopo appena 20 secondi. «In realtà di secondi ne erano passati 17», specifica lo stesso Vinicio.
Nel 1954 Vinicio era un giocatore del Botafogo quando fu notato da Achille Lauro durante una torneèe in Europa. In verità lo notò l’allenatore del Napoli, Monzeglio, che subito chiese a Lauro di acquistarlo per la stagione successiva. «Piacere di conoscerti disse allungando la mano. Sono Eraldo Monzeglio, l’allenatore del Napoli. Volevo farti i complimenti: hai giocato molto bene. Tempo dopo avrei scoperto che in realtà la Lazio aveva già in mano il mio contratto, ma Lauro, pur di accontentare Monzeglio, avviò una singolare trattativa con Vaselli. La chiacchierata telefonica fu pressappoco questa: Conte, se lei rinuncia a Vinicio io le faccio ottenere l’appalto per i lavori di restauro di piazza Municipio». Con il Napoli anche in panchina. «O siete tutti con me» dissi a voce alta «o domattina rassegno le dimissioni». Queste le prime parole da allenatore degli azzurri nel 1973. Il secondo fu quello della consacrazione. Il girone d’andata si chiuse col Napoli al quarto posto. Alla fine giunse secondo a due punti dalla Juventus. La colpa fu di core ‘ngrato Altafini. Napoli per Vinicio rappresenta anche la città del cuore. Perché proprio a Napoli ritrovò per caso l’amore della sua vita, quella Flora Piccaglia conosciuta ai tempi del Botafogo e destinata a diventare sua moglie.
Il Mattino