Amarcord – Rubrica di Stefano Iaconis: “L’infinito Bruno”

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Il pensiero di Filippo Bruno, passato alla storia come Giordano Bruno, filosofo nolano messo al rogo nel febbraio del 1600, a Campo dei Fiori, con il Tevere a due passi a far la guardia alle sue ceneri, ruotava intorno al concetto di infinito. Bruno Giordano, nato a dieci minuti da quel luogo dove il filosofo fu arso vivo, nel quartiere di Trastevere, quel concetto di infinito lo racchiudeva nel suo piede. Prodigioso custode di una delle meraviglie calcistiche, e sono certo più di sette, che hanno abitato sotto il Vesuvio. Un buffo scherzo del destino, uno degli scherzi più’ incredibilmente belli, perchè dentro quel suo nome che così suggestivamente richiama uno dei personaggi più illustri e poliedrici della cultura italiana di fine cinquecento, rivisse per quasi un ventennio uno dei calciatori più forti del calcio italiano. “E’ il più sudamericano dei giocatori italiani, certamente uno tra i più forti con cui abbia mai giocato”. Lo disse Diego Armando Maradona. Portando Giordano nell’ Olimpo del calcio italiano di tutti i tempi. Una investitura certa. Il Napoli nel destino, con quell’azzurro mescolato al bianco, i colori laziali, a vestire dapprincipio le sue spalle, sempre un pò incurvate, in quella posa da eterno ariete pronto a caricare il peso del corpo per sprigionare una potenza incredibile dentro quel suo tiro di rarissima precisione. E terrificante forza. La Lazio, in quel quartiere dove Maestrelli ed i suoi ragazzi del ’74 erano di casa, Trastevere, era fede assoluta. E Bruno Giordano quando approdò tra le fila della “sua” squadra, coronò un sogno. Molte storie, in quel calcio a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, intrecciarono le vite di uomini che furono capaci di vestire i colori delle formazioni calcistiche per le quali deliravano da bambini. Lui, il centrattacco dal tiro al fulmicotone e l’aria guascona, fu uno di questi. Al fianco di Chinaglia, idolo assoluto, mosse i suoi primi passi in prima squadra. Ed il suo primo gol lo realizzò proprio su un assist di Long John. Nella sua partita d’esordio, a Genova, contro la Sampdoria. Al novantesimo. Predestinazione e basta. Era il 1975 e l’anno seguente Giordano divenne la guida di una Lazio orfana del suo totem, emigrato ai Cosmos di New York. Storia. Anni bui, per Bruno e per i biancazzurri laziali, sebbene conditi da un titolo di capocannoniere. La Lazio, dopo i fasti dello scudetto, viveva un periodo di decadenza. I drammatici spareggi giocati proprio a Napoli, per non retrocedere in serie C. La vittoria in un luglio rovente, contro il Campobasso, quell’ uno a zero che salvò i biancazzurri da una rovinosa caduta nel baratro della terza serie. Evitando una probabile sparizione dalla mappa geografica calcistica che contava. Era l’alba degli anni ’80. Quelli che travolsero il centravanti laziale nell’ uragano dello scandalo del calcio scommesse. Al rientro di Giordano, dopo la squalifica scontata, la Lazio, tornata in serie A, conobbe di nuovo la retrocessione. Ed allora arrivò la chiamata di un Napoli che stava costruendo intorno a Maradona una formazione leggendaria. Giordano e Napoli si innamorarono all’ istante. Scoccò una scintilla che arse, come fuoco altissimo. Un rogo di passione. Il  fuoco in un cognome e di un nome. Roghi che si ripetevano, ancora. Diego e Bruno parlavano la medesima lingua. E filosofeggiavano calcio. Quello fatto di una intesa inarrivabile. La velocità del pensiero che formava la medesima immagine a correre dentro tempi di gioco che non si insegnano. Perchè il genio non ha maestri. Di gol costruiti dentro giocate la cui raffinatezza sfiorava l’ iperbole. Calcio mai visto da queste parti. Giordano era trequartista e centrattacco. Un numero nove e mezzo dal tiro micidiale. Un predatore dal manto regale. Giordano Bruno, il filosofo, negò la trinità. E fu l’ inizio della sua fine. Bruno Giordano fu lo Spirito Santo, invece, di quella trinità calcistica, la MA. GI. CA, composta da un trio seduto nel Valhalla del football. Maradona, Giordano, Careca. Una trinità sacra. E se gli domandi del suo gol più bello, Giordano, con quella sua parlata trasteverina, mai rinnegata, perchè amò Napoli, ma fu sempre figlio della sua Roma, e senza mutare espressione, ricorda quello che tutta la città celebra eterna nel ricordo. A Torino, nel novembre del sorpasso contro la Juve. Quel destro da pochi passi, volo, su corner di Maradona, il gol del 2 a 1 al Comunale che porta il Napoli in vantaggio. Ancora, nelle orecchie di chi c’ era, il rumore dell’ impatto del destro di Giordano che spedisce la sfera in fondo alla rete, risuona fortissimo. Chiarissimo. Nel silenzio di una curva Maratona allagata di azzurro, che un momento dopo salta per aria, assieme al centravanti in azzurro che scavalca i cartelloni pubblicitari per correre incontro ad un popolo ubriaco di gioia. Storia. Perchè Bruno Giordano fece la storia. La storia infinita. Custodita in quel suo piede infinito. Intorno al quale ruotava il calcio.

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Stefano Iaconis

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