Cesari (Ex arbitro) al CdS: “Insigne? Giusto il rosso, ma c’è un problema di personalità nella nostra categoria”
Graziano Cesari, tutto comincia con l’episodio decisivo di Inter-Napoli. Le sue parole al CorrSport sul rigore e sul rosso a Lorenzo Insigne: «Nulla da ridire sul piano tecnico: non punibilità della posizione di Darmian, intervento scomposto di Ospina, calcio di rigore concesso, giallo al portiere per fallo onesto. E se un giocatore usa un’espressione irriguardosa nei confronti del direttore di gara viene espulso. Regola numero 5».
Questo carte alla mano. Poi, volendo, si entra nel discorso spinoso sulla personalità degli arbitri. Massa avrebbe potuto chiudere un orecchio? «I giocatori devono comportarsi in maniera educata nei confronti dell’arbitro. Questo è un principio basilare e vale ancora di più adesso che con il Var si può cambiare la decisione in un secondo momento. Specialmente se sei il capitano, un calciatore famoso e possiedi una grande esperienza. L’arbitro però sa benissimo che quando assegna un rigore i giocatori gli arrivano intorno a frotte. E dovrebbe mettersi in condizione di non trovarsi proprio nella mischia. Se vai lì in mezzo è normale che qualche parolina voli».
E se vola, l’arbitro è praticamente costretto a intervenire. «Certo. E’ il regolamento, bellezza. Se però hai un’intelligenza arbitrale, applichi il buon senso e sai che cosa può capitare ti sposti e te ne vai dal gruppo e forse è meglio. Questi sono i piccoli consigli che direttori di gara vecchi come me, quelli che sapevano davvero arbitrare perché non avevano né Var né nulla, si sentono di dare. Ma, una volta pronunciati, questi consigli pare si disperdano nel vasto mondo».
Potrebbe essere utile inserire nel processo di formazione dei giovani arbitri qualcuno in grado di dare indicazioni del genere? «Devo dire che la formazione in effetti è insufficiente. Non basta fare corsa, spiegare, teorizzare. Ciascuno di noi possiede una personalità differente, un carisma differente, un modo di porsi nei confronti degli altri più o meno adeguato. Un arbitro che dice ai giocatori “adesso smettetela perché vi sbatto fuori” non si può sentire. L’educazione vale in entrambi i sensi. Detto questo, come si ottiene il rispetto sul campo da gioco? Mantenendo una linea di condotta assolutamente coerente. Un diagramma che sale e scende, una direzione di gara ondivaga non trasmettono il messaggio corretto. Se dal primo al centesimo minuto l’arbitro non mantiene il medesimo atteggiamento i giocatori s’interrogano. Ma questo che cosa fa, che cosa succede? E viene a mancare la cosiddetta accettazione. Nella mia epoca Pierluigi Collina era stratosferico e i giocatori da lui accettavano tutto. Chi non è Collina deve essere il più equilibrato possibile».
Bene, e quanti ne vede in Italia di arbitri in grado di mantenere questo equilibrio? «Il Var non ha aiutato granché da questo punto di vista. Parliamo di arbitri permalosi, presuntuosi. Il Var c’entra. Io ho la sensazione che negli arbitri sia penetrato un tarlo, il tarlo di avere perso qualcosa. La sacralità del ruolo, il potere decisionale: questo Var non è stato accolto così bene da tutti».
Infatti i controlli sul fuorigioco vengono effettuati con la massima disinvoltura, mentre i contatti in area spesso non vengono neppure rivisti. «Naturalmente. Perché il fuorigioco è un dato metrico. Non mette in discussione la decisione dell’arbitro. Il problema sorge quando devo valutare l’intensità, l’entità, la forza e decidere se assegnare un rigore. Allora entra in ballo la mia sfera personale e se qualcos’altro, uomo o macchina, tenta di entrarci m’infastidisco».
Esiste un problema di personalità tra gli arbitri? «Credo di sì. La personalità non si manifesta esasperando gli atteggiamenti. Ho visto tanti arbitri, cito l’inglese Webb, dirigere una gara con la massima normalità e convincere tutti della bontà delle loro decisioni. Convincere, non imporre».
Dicono che all’estero ci si rivolga agli arbitri con maggiore deferenza. «Figuriamoci. Ne ho sentiti di “fuck”, e dappertutto. Se c’è una cosa che giocatori e arbitri conoscono benissimo delle lingue straniere sono le parolacce».
Forse da noi c’è carenza di materiale umano in cui scegliere. «E’ probabile. Abbiamo fatto una scelta folle, dividere la Serie A dalla Serie B. Così abbiamo avuto arbitri che per cinque, sei, dieci anni hanno continuato a dirigere in B senza sapere niente di quanto accadeva in A e altri a cui era garantita la massima serie. Invece non dimenticare da dove si arriva, tornarci di tanto in tanto, è utile e persino piacevole. Adesso che fortunatamente c’è stata la riunificazione nascono i guai. Però vedo giovani che stanno facendo bene, nei limiti della loro attuale esperienza. Non dimentichiamo che questo campionato è il più difficile degli ultimi dieci anni: nove squadre per scudetto e Champions, altrettante per la salvezza. Sfido io che l’Aia si trova alle prese con un mucchio di questioni».
Massa, tanto per non fare nomi, le sembra un arbitro di personalità? «Eh, eh. La personalità c’è, semmai il punto è il modo in cui la si mostra. Come i calciatori, oggi gli arbitri arrivano in A sempre più giovani. Poi però bisogna rimanerci. La personalita si vede alla lunga».
Tornando al processo di formazione degli arbitri, quali modifiche introdurrebbe? «Un allenatore che spieghi come si muovono i giocatori. Era il compito del povero Roberto Clagluna e tutti gli arbitri della mia generazione hanno fatto passi da gigante grazie a lui. Poi non può essere tutto Skype e smart. Gli arbitri hanno bisogno di parlare tra loro, quindi più raduni. La discussione in un’aula stimola meglio di qualsiasi video. Ancora: adesso gli arbitri sono tutti alti, belli, biondi, con gli occhi azzurri e la barbetta e quando andiamo al sodo, ahia. Ma dico io, capisco il lato estetico, però uno piccolo e brutto capace di arbitrare ci sarà, o no?».
Magari, come si diceva, sarebbe saggio coinvolgere maggiormente gli arbitri emeriti nelle fasi di insegnamento. «Per esempio io avrei sfruttato in maniera diversa Rocchi, che ha smesso l’altro giorno».
Lei quante volte è stato mandato a quel paese in campo? «Io non me lo ricordo. I giocatori che ho buttato fuori invece se lo ricordano di sicuro. Ho conservato ottimi rapporti con tutti i calciatori che ho conosciuto, forse perché ho sempre parlato troppo e continuo ancora oggi».
Quanto è più facile espellere uno qualsiasi piuttosto che un Cristiano Ronaldo? «Non me lo chieda neppure. Se per qualcuno è più difficile, quel qualcuno non è un arbitro. Perlomeno non è un Arbitro».
A cura di Marco Evangelisti (CdS)