Marco Baroni parla di Maradona: «Un giocatore non terreno in campo emanava luce»

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Era il 29 aprile 1990, quando in una delle rarissime volte, a mettere il sigillo nella storia del Napoli non è Diego Armando Maradona. Al suo posto, infatti, ci pensa Marco Baroni, che con un colpo di testa decide Napoli-Lazio: 1-0 e secondo (nonché ultimo fin qui) scudetto degli azzurri. Baroni entra nella storia con quello che a tutti gli effetti era anche il suo marchio di fabbrica: il colpo di testa, un fondamentale nel quale riusciva così bene da essersi guadagnato il soprannome di Cabezon.
Chi le aveva dato quel particolare soprannome?
«Ovviamente Maradona».
Ci dica di più…
«Tutto era nato in allenamento, perché aveva notato questa mia capacità nello stacco aereo e nel colpo di testa. Quindi il gol dello scudetto era stato quasi previsto da lui e dalle sue battute sulla mia attitudine a segnare di testa».
Ma oggi qual è la prima cosa a cui pensa quando le fanno il nome di Maradona?
«Al primo allenamento insieme».
Perché?
«Era il 1989, e i primi giorni vicino a Diego erano incredibili. La sua grandezza era tale da sprigionarsi prepotentemente anche negli allenamento. Per me era come una calamita. La palla sembrava fosse un prolungamento del suo corpo e in qualunque modo la toccasse, diventava magia. Facevo fatica ad allenarmi all’inizio, perché passavo tutto il tempo a guardare lui».
Poi però si è abituato?
«Non era facile abituarsi a Maradona. Era un giocatore che emanava una luce di grandezza, un qualcosa di non terreno. Un campione vero, in campo e fuori».
Ecco, ci racconti di più del Diego lontano dal campo…
«Conservo il ricordo di un ragazzo straordinario che non ha mai lesinato un gesto di affetto nei confronti di un compagno o anche di un addetto ai lavori. Aveva attenzioni per tutti. Non gli ho mai visto fare un gesto di disapprovazione verso qualcuno e non ho mai sentito da parte sua una parola fuori posto. Anche per questo tutti gli volevano bene».
E voi, che di bene gliene volevate a vostra volta, come avete vissuto il suo ultimo periodo prima della fuga? 
«Era difficile fare qualcosa per stargli vicino».
Davvero?
«Avevamo percepito perfettamente che si era rotto qualcosa e che lui avesse anche voglia e bisogno di cambiare aria. Ma Diego non ha mai portato i suoi personali o contrattuali all’interno dello spogliatoio. Ha sempre vissuto tutto in maniera molto riservata. Non esternava le sue problematiche. Sui giornali se ne leggeva, ma lui non ce ne parlava male».
Dopo l’addio al Napoli vi siete rivisti?
«Sempre nelle varie partite che venivano organizzate dagli ex compagni. E poi è stato molto carino nell’anno della mia promozione in serie A sulla panchina del Benevento. Mi ha chiamato per farmi i complimenti. Era molto attento a tutti i suoi ex compagni».
Oggi come lo ricorda?
«Come quel calciatore unico perché dotato della capacità di prendersi tutti sulle spalle. Si dice che i grandi talenti nascano una volta ogni cento anni, ma penso proprio che come Maradona non nascerà più nessuno» B. Majorano (Il Mattino)

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