«Diego Armando Maradona può davvero rappresentare uno di quei personaggi intorno al quale costruire un progetto per la città. È stato un mito in vita, lo è ancora di più ora che è scomparso così giovane. Un riferimento senza tempo e mondiale. Le potenzialità sono davvero tante».
Ci crede, Marisa Laurito, all’idea lanciata dal Mattino di fare del campione argentino un tratto dell’identità nel mondo di Napoli. Tour guidati sui suoi luoghi, a partire dallo stadio che sarà intitolato a lui, per finire al Centro Paradiso – il vecchio centro sportivo abbandonato e da recuperare – alla mappa dei murales del centro storico e delle periferie, fino alla sua casa di Posillipo: musei, percorsi, visite.
Possiamo trasformare un mito sentimentale in una risorsa identitaria? «Certo che possiamo! Sarebbe, anzi, un peccato non farlo. Maradona è identificato nel mondo con Napoli ed è un mito per tutti. Lo hanno ricordato dappertutto, ma lui ha avuto con la nostra città un rapporto speciale. Se non lo fa Napoli, chi dovrebbe farlo? Forse solo l’Argentina, con cui ha vinto un mondiale, e che è il suo Paese. Ma Napoli ha tutte le carte in regola per lanciare iniziative di questo tipo, che poi possono interfacciarsi tra loro e creare davvero una rete straordinaria».
Con la scomparsa di Maradona si sono moltiplicati gli omaggi commossi in tutta la città di Napoli. Ora bisognerebbe passare dalla memoria al futuro, dalla commemorazione al progetto turistico ed economico: lei ci crede? «Maradona è un personaggio che ha lasciato così tanto nel cuore dei napoletani che qualunque cosa fatta in sua memoria mi sembra già buona di suo. Ripeto, di qualunque tipo sia, da quella più spontanea e genuina, essenziale, a quella più organizzata. Ma consumata la commozione del momento si potrebbe davvero tirare fuori un progetto complessivo, di lunga durata, che guardi al futuro, e che getti anche delle basi per vivere la città diversamente. Ci sono i luoghi dove lui è stato, dove si è allenato, dove ha giocato. Ci sono i trofei, i cimeli. E poi non c’è solo lo stadio, c’è una città intera che ha tracce e memorie di lui. Possono diventare tappe di una proposta. Si potrebbe fare davvero molto, non solo in chiave turistica. Le idee sono davvero tante. Anche a me ne sono venute in mente in questi giorni, se ne parla con gli amici, a ognuno salta in mente qualcosa. È talmente profonda la presenza di Maradona nel tessuto emotivo di Napoli che l’identificazione è quasi automatica. Ci sono decine di strade percorribili per fare del mito di Diego una opportunità per la città».
Ce ne dica qualcuna di queste idee che vi sono venute in mente. «Si potrebbe ad esempio creare una squadra di giovani, un vivaio del Napoli, con il nome di Maradona, che potrebbe intitolare e identificare una ricerca di talenti giovanissimi a Napoli. Lui stesso del resto è stato un campione precoce e bravissimo, e da ragazzino, grazie al calcio, ha trovato una strada anche di riscatto personale e familiare. A Napoli, un vivaio calcistico Maradona sarebbe anche un pezzo di lavoro nel sociale. Poi si potrebbe mettere in piedi un centro sportivo nel suo nome, in modo da promuovere la cultura dello sport, la pratica, insieme al suo ricordo. Le proposte sono tante. A me ne è arrivata una curiosa, per esempio, di un autore di arte contemporanea, Marco Chiurato, che ha detto: Perché non facciamo una corsa di soli napoletani e la chiamiamo la Diego Armando Maradona? Una cosa curiosa, no? Una gara riservata solo ai napoletani. I napoletani che corrono la Maradona, la Diego Maradona. Un appuntamento annuale nel nome del campione, che diventa anche occasione per promuovere la città. Ci si può davvero inventare di tutto, con un po’ di fantasia e di voglia di sperimentare. La leggenda del resto è lì, abbiamo a disposizione tutti gli elementi Perché non farlo?».
Napoli è capace di andare oltre la mozione sentimentale, oltre il ricordo e lo struggimento, oltre la commozione, gli altarini, i murales, i cori da stadio, per fare un salto di qualità e progettare, strutturare qualcosa che rimanga sul modello di Londra, di Madrid, di altre grandi città? «Napoli dal mio punto di vista è capace di fare qualunque cosa. Non alimentiamo l’idea che qui non possiamo fare quello che si fa altrove. Possiamo fare tutto, se lo vogliamo e ci lavoriamo. Io personalmente divido i napoletani in due grandi categorie: i napoletani tedeschi e i napoletani arabi. I primi lavorano indefessamente, lavorano moltissimo. Io appartengo a questi. Abbiamo resistenza, idee e voglia di fare. Non ci fermiamo mai. Anzi, ci fermiamo solo per un caffè. A quello non si dice di no. Poi ci sono anche quelli che hanno un andamento lento, per dirla alla Tullio De Piscopo. Sono un po’ più pigri, meno operosi, meno fattivi. Ma la città in sé ha una grande forza sia creativa, di immaginazione, di fantasia, di spinta artistica, sia operativa, pratica, del fare, del lavoro. Quindi Napoli assolutamente è in grado di costruire un progetto su Maradona. In fondo, il mito ci appartiene. È argentino, ha vinto il mondiale con la sua nazionale, è rimasto a Napoli solo alcuni anni. Ma qui è maturato come calciatore. Qui ha avuto parte importante della sua carriera. Il Napoli gli ha dato un grande salto di qualità. E poi a Napoli lui ha trovato una casa, una patria sentimentale, una dimensione affettuosa ed è diventato uno di noi. Ecco la ragione vera poi per cui i napoletani lo amano tanto. È diventato uno di famiglia. Diego ha dato molto a Napoli e ha anche ricevuto molto da Napoli».
L’ha impressionata la grande partecipazione emotiva della città per la morte del suo campione? «Io non sono rimasta impressionata per nulla. Anzi, me lo aspettavo. Forse anche qualcosa di più, se non ci fossero state le limitazioni per il contagio. Non una virgola in meno, direi, mi sarei aspettata dalla città per Maradona. Solo chi non è stato a Napoli nel momento dello scudetto, in quegli anni fantastici, non capisce il legame di questa città con il suo campione. Io in quei giorni c’ero e tifavo Napoli sfegatatamente. Andavo la domenica allo stadio con l’ingegnere Luciano De Crescenzo. Guardavamo le partite insieme, ed eravamo estasiati. Mi ricordo quella forza, quell’amore. È stata un’epoca indimenticabile. Una gioia esplosiva, di popolo, amplificata dal fatto che venivamo da periodi bui e cupi, com’erano stati i primi Anni Ottanta. Mi ricordo per i due scudetti una Napoli bianca e azzurra, gioiosa, festeggiamenti ovunque. Una festa popolare e collettiva come non si erano mai viste. Ecco perché il coinvolgimento emotivo e sentimentale con la morte di Maradona è stato tanto. È un pezzo del cuore di Napoli».
A cura di A. Mena (Il Mattino)