Tacconi sulla punizione del Pibe: «Ci arrivai con il mignolo ma fu un gol da leggenda»
Da avversari ad amici, Tacconi racconta Maradona
«Lui nella sua mente avrebbe scelto di morire così. È diventato eterno. Ora è una leggenda. Se fosse successo a 100 anni nessuno lo avrebbe ricordato, ora invece lo piange il mondo intero, tutti hanno capito che era un genio, intere generazioni che sono cresciute vedendolo far gol con la maglia del Napoli e dell’Argentina sono distrutte dal dolore. E sono tristi. Come lo sono io». Stefano Tacconi è stato per tutti gli anni napoletani di Diego il portiere della «Giuve», la nemica, il simbolo del Nord contro il Sud. «E io ogni volta che venivo al San Paolo lo provocavo. E il Napoli, puntualmente, mi faceva gol e vinceva. E lui mai una volta che consentiva a qualcuno di dire qualcosa conto di me. Perché mi rispettava, rispettava quelli che avevano coraggio, quelli che hanno le palle. Come ne aveva lui».
Tacconi, c’è lei in una delle foto che hanno fatto la storia di Maradona, quel gol il 3 novembre 1985. «L’ho sfiorato con il mignolo, davvero per poco non ci sono arrivato. Ma sa che le dico? Chi se ne frega! Mi ha fatto gol Diego Maradona, non un pinco pallino. Magari avrei preso 9 in pagella ma non avrei visto un gol così meraviglioso. Che in queste ore stanno facendo vedere e rivedere, all’infinito. E ora ne sono persino fiero».
Come è passata quella palla su una barriera a cinque metri? «Lo sa solo lui. Redini di Pisa fischia la punizione a due in area e io mi sono preparato per il tiro forte di Renica. E invece lui se la fa toccare di piatto da Pecci e con il sinistro scavalca gli uomini in barriera e il pallone va nell’angolo. Straordinario».
Eppure ci litigava spesso? «Dovevo recitare la mia parte, ogni volta dicevo una fesseria diversa. Però una volta esagerai, a Napoli mi aspettavano i tifosi come un nemico giurato e allora persi la testa e dissi riferendomi a Maradona: Ma chi è, Gesù Bambino?. Non l’avessi mai detto: mi fischiarono in 80mila, in più mi fecero due gol e Boniperti mi diede anche una multa. Ma lui mai, neppure una volta, ha alzato la voce contro di me o ha consentito a qualche compagno di farlo. Leale, come pochi altri ho conosciuto nella mia carriera».
Poi un suo gesto vi ha avvicinati? «Organizzai nel 1989 un’amichevole di beneficenza nella mia Terni tra Italia e Argentina. La Figc non autorizzò gli azzurri e quindi i miei amici all’ultimo istante non vennero. Maradona, invece, aveva mobilitato Burruchaga, Troglio, Caniggia, Bilardo e gli argentini vennero in massa. E scoprì che era tutto vero quello che si diceva sul grande cuore di Diego, non era fantasia, non era la leggenda. E da allora non dissi mai più nulla. Gli sono stato sempre grato, quella volta e pure un’altra».
Nella finale di Supercoppa del 1990. «Già, se il Napoli avesse continuato a giocare come stava facendo, avrebbe fatto almeno 10 gol. Io andai da lui, ero il capitano della Juventus, lo inseguii quando la palla finì fuori e lo pregai di far fermare gli azzurri. Lui fece un segno ai suoi e loro ubbidirono. Perché mi rispettava. Lo aveva sempre fatto».
Da avversari a quasi amici? «Io ho giocato con Platini, ma senza di noi, senza la squadra, Michel non avrebbe vinto quello che ha vinto. Con Maradona è diverso. È la squadra, è quel Napoli, che è ben consapevole che senza di lui non avrebbe vinto quello che poi ha vinto in quegli anni».
Va via davvero un imperatore del calcio? «Era una sola cosa con Napoli. Un legame straordinario. Si è garantito l’eternità. Ora è leggenda. Sono pochi che possono dirlo in un mondo dove magari ci sono i campioni, ma nessuno è capace di fare la storia del calcio come è riuscita a farlo lui».
Pino Taormina (Il Mattino)