G. Calabrese: “Tutti avete visto Maradona, io, invece, l’ho amato!”
Chiudi tutto, Diego. Porte, finestre, tutto. Ho tanto freddo, Diego. Tu no? Copriti bene lo stesso. Tu non hai freddo perchè continui a palleggiare. Fermati un attimo, adesso basta. No? E va bene, tanto lo so che vinci sempre tu. E’ da ieri pomeriggio che questo freddo non mi lascia. E’ talmente forte che tremo. Mi tremano le mani ed il mento. Eppure è strano, io preferisco il freddo al caldo. No, per piacere. Spegni radio, televisione e pc. Nun me fido de’ sentì. Ti hanno visto tutti, lo sai? Manco fosse “Chi l’ha visto”! Ti hanno visto, conosciuto, sentito. Amato? Mi viene da ridere. Peccato non ci riesca. Va bene, gli lascio credere che ci credi. Come vuoi tu. Io non li voglio vedere neanche dipinti. Mi danno fastidio le loro voci, le finte lacrime e pure i sorrisi. Invece, la tua voce no. Quella mi manca. Per non parlare del sorriso, Diego. Quelle 32 perle lucenti incastonate sul tuo viso scugnizzo. Proprio sotto quegli occhi belli. Li ho amati tanto. Quasi più del sinistro. Sai perchè? Perchè erano tristi. Tristi e malinconici. Sempre. Di una tristezza disperata, fragile, sola. Strano che tutti i portatori genetici di gioia siano in realtà tristi, vero? Furono quegli occhi che mi fecero capire che mi potevo fidare di te. Mi dissero che eri diverso. Tutti gli altri avevano messo le mani sulla città. Tu, no. Tu l’avresti sollevata a partire dal basso. Dai piedi. No, non ti commuovere, non piangere, Diego. Non fare come me. Non rendere quegli occhi ancora più tristi. Se puoi, resta un altro po’ qua con me. Io e te, da soli. Al buio. Voglio raccontarmi e raccontarti. Cose che sappiamo già. Voglio parlarti d’amore, Diego. Il mio. Forse solo così mi passerà il freddo. Brrrr! Si gela, Diego. Una finta, Pibe, l’ultima, così mi scaldo. Fammi l’ultima, jà, poi ti vai a riposare. Sì…lo sapevo che mi avresti accontentata. Lo hai sempre fatto. Scusami, Diego. Scusa se non so renderti omaggio come dovrei. In fondo, non sono così brava. Forse un giorno, con gli occhi asciutti e le mani ferme, ci riuscirò, ma oggi no. Me ne vado a piangere per fatti miei. Perchè tu sei il mio intimo. Il mio io lirico, personale, musicale, poetico, ancestrale. Tu sei il mio Diego. E quando mi sentirò un po’ meno orfana, riprenderò a scrivere e parlare di te. Napoli lo sta già facendo, lo ha sempre fatto. Da quel giorno di luglio. Sai, sì, lo sai, hanno sempre detto che noi piangiamo per abitudine, insomma ca’ chiagnimmo. Chissà, forse loro riescono a misurare il dolore. A me il freddo non passa e le lacrime scendono sole. Non sono calde neanche quelle. Chiudo la porta, Diego. Spengo pure il cellulare. Voglio stare sola, anche se so che non lo sono. La nostra città mi fa compagnia. Napulità, chiagnite! Ca’ chisto è ‘o mumento ‘e chiagnere!
Gabriella Calabrese