Piara Powar: «Nel calcio non è scomparsa la vergogna del razzismo»

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Stadi chiusi, eppure il razzismo nel calcio è sempre presente. La denuncia è di Piara Powar, direttore esecutivo di Fare Network (Football against racism in Europe), l’associazione che da 21 anni denuncia questi casi e si confronta con i governi, le federazioni e le leghe sulle contromisure da adottare.
Del fenomeno del razzismo nelle partite di calcio non si parla più perché gli stadi sono chiusi, o quasi: cosa succederà quando verranno riaperti?
«Nonostante non vi sia pubblico negli stadi a causa della pandemia il razzismo e la discriminazione non sono stati eliminati: si sono semplicemente spostati sulla rete. I giocatori sono ancora presi di mira sui social. E non solo. Quando è stato consentito l’ingresso di un numero limitato di spettatori negli stadi di alcuni Paesi, abbiamo visto spesso gruppi di estrema destra occupare i posti ed essere ancora più visibili con i loro cori. Ci sono state manifestazioni razziste nell’Europa centrale e nel Regno Unito come reazione contro l’appello Black Lives Matter. Purtroppo ci aspettiamo di vedere nuovamente il razzismo negli stadi, anche con un aumento di fenomeni, quando i tifosi potranno essere riammessi».
Osimhen, ventunenne nigeriano appena arrivato a Napoli, era molto preoccupato per il razzismo in Italia: pensa che scoprirà una brutta realtà?
«Mi piacerebbe pensare che Osimhen non dovrà affrontare manifestazioni di razzismo, ma purtroppo abbiamo visto quasi tutti i giocatori di colore regolarmente insultati in Italia, a Roma, a Milano o nelle città più piccole: le preoccupazioni di questo ragazzo sono legittime».
Osimhen ha deciso di trasferirsi a Napoli, ma potrebbero esserci giocatori che in futuro non accetteranno club italiani per questo motivo?
«È ciò che sta già accadendo: i giocatori neri ne parlano prima di accettare trasferimenti in Italia e qualcuno potrebbe optare per altri campionati di alto livello. Nessuno vuole giocare in un campionato in cui la tua dignità di essere umano è degradata in ogni partita solo a causa del colore della tua pelle. Soprattutto un giovane giocatore vorrebbe essere in grado di far crescere il proprio talento senza la minaccia di offese razziste a lui o alla sua famiglia».
Osimhen ha spiegato che nella sua scelta ha inciso la conoscenza di Napoli, una città lontana dal razzismo.
«Sicuramente i tifosi del Napoli gli daranno un caloroso benvenuto quando sarà riaperto lo stadio: ricordo ancora bene il loro sostegno a Koulibaly dopo gli insulti razzisti in altre città. Ma purtroppo i problemi sorgeranno praticamente ovunque giocherà il Napoli. Non dimentichiamo un altro tipo di discriminazione, quella tra Nord e Sud, di cui il Napoli soffre».
Uno dei simboli della lotta al razzismo è Koulibaly: vi sono stati contatti tra il difensore del Napoli e Fare Network per studiare un progetto?
«Abbiamo alzato la voce quando lui e altri giocatori hanno subito offese razziste e ci siamo messi in contatto con la Lega di Serie A e la Federazione italiana, ma colloqui diretti con Koulibaly non ne abbiamo avuti».
Crede che il sistema calcistico italiano stia lavorando correttamente contro il razzismo?
«L’Italia deve intensificare gli sforzi contro la discriminazione e passare a un’azione reale. La Figc deve assumersi delle responsabilità, la Lega di Serie A e le società devono affrontare con decisione questa materia e confrontarsi con i propri tifosi, anche se sappiamo che non è facile. La campagna pubblicitaria presentata dalla Lega di Serie A aveva ricevuto critiche legittime per l’uso dell’immagine di una scimmia, adesso c’è un’altra iniziativa con la Unar, l’unione nazionale antidiscriminazioni razziali. Abbiamo notato punti positivi nel piano iniziale, inclusi il monitoraggio e la registrazione di tutti gli incidenti, ma devono essere implementati e ben comunicati».
Nella prima giornata del campionato francese Neymar ha denunciato un insulto razzista da parte di un avversario del Marsiglia: l’esempio non dovrebbe partire dai calciatori?
«I giocatori hanno iniziato a prendere sempre di più posizione contro il razzismo perché sono stufi: vengono costantemente maltrattati e nessuno è ritenuto responsabile. Ma non deve essere solo un calciatore nero, una minoranza, ad agire: i compagni di squadra dovrebbero seguirli e unirsi nella protesta». F. De Luca (Il Mattino)

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