Indagò su Juve/Doping, Guariniello: “Nel calcio c’era tanta omertà”
Raffaele Guariniello: «Juventus-Napoli? Sono sempre stato pignolo nella mia vita: la materia non è così scontata come appare. Ai tempi del coronavirus, siamo di fronte ad una normativa fatta di decreti e Dpcm che troppe volte diventa pletorica». Juventino dichiarato, soprattutto magistrato che ha condotto inchieste che hanno tratteggiato pagine importanti di storia recente dell’Italia, l’ex pm Raffaele Guariniello accarezza la questione che sta tenendo in bilico il football italiano, tra Asl, Lega, Figc, protocolli ed atti amministrativi.
Il calcio può sfuggire alle regole delle norme Covid sul lavoro o resta sottoposta alle Asl?
«Di recente, mi è capitato di criticare alcune circolari dei ministeri perché non si attenevano alle norme dei decreti leggi. La regolamentazione relativa agli eventi sportivi ha delle sue specificità, diventa complesso esprimere un parere netto. Si dovrebbero conoscere in maniera perfetta le disposizioni e gli atti che al momento sono unicamente nelle mani di chi sta giudicando. Chiaro che i calciatori sono anch’essi dei lavoratori: ma i protocolli sono un conto, le norme un altro. Il lavoro di chi giudicherà sarà legato alla necessità di studiare le norme che regolano gli eventi sportivi».
Insisto: è davvero così complesso dire se ha ragione la Asl o deve prevalere il protocollo?
«Questione davvero complessa: districarsi tra tutte queste norme che, per forza di cosa, abbiamo dovuto adottare per combattere il virus, ma è chiaro che l’interprete si trova spesso in difficoltà. C’è, ad esempio, il problema dei lavoratori fragili: è difficile orizzontarsi anche per chi deve misurarsi sullo sport. Se un’indicazione non esatta, arriva dai ministeri (il protocollo è stato recepito da una circolare del ministero della salute, ndr) ci troviamo di fronte ad una circostanza molto difficile da dirimere. La fertilità normativa dell’Italia è straordinaria».
Lei ha indagato sul calcio: dall’inchiesta che condusse sulla Juventus sul doping ad oggi, le sembra cambiato il modo di porsi del calcio con la legge e con le istituzioni? «Qualche tempo fa, mi chiesero della mia inchiesta sul doping ad un convegno al quale partecipai: lì esercitavo da magistrato la giustizia penale, e credo che anche oggi bisognerebbe fare indagini sul calcio con maggiore continuità. Non fu facile, allora, trovare testimoni: nel calcio c’era tanta omertà. I miei colleghi che si occupano di mafia hanno sempre fruito dei pentiti: io durante le mie inchieste sul calcio, non ho mai potuto sfruttare qualcuno che decidesse di collaborare. È molto complesso indagare su questo mondo: fondamentale restano le indagini, ci vogliono sequestri, intercettazioni».
Crede nella giustizia sportiva, in particolare della Procura Federale Figc?
«La Procura ordinaria è esercitata da magistrati che fruiscono dell’indipendenza dal potere esecutivo: questa è la grande conquista dei nostri padri costituenti. Sarebbe fondamentale anche che giustizia sportiva riesca a rifarsi a questo concetto per lavorare al meglio».
C’è chi sostiene che la Lega e la Juventus con il loro comportamento sentano di poter andare oltre la legge. Ha mai avvertito questo senso di impunità nella Juventus e nel calcio?
«Oggi non faccio più indagini, all’epoca posso dire che c’era molto da fare per un magistrato penale. Sto studiando, invece, quello che prende il nome di scudo penale, perché nessuno si vuol prendere la responsabilità dalle infezioni da Covid. Tutti vogliono lo scudo penale e nessuno vuole essere processato: mi rendo conto che un processo preoccupa e nessuno vuole affrontarlo, in qualsiasi ordinamento, compreso quello sportivo».
Marco Giordano (Il Mattino)