Ottavio si destò rabbrividendo, quel giorno. Su Torino, dalla sera prima, una cappa di umidità era scesa a coprire come una coltre il capoluogo piemontese. Ottavio era già arrivato con il mal di gola. E tosse. Colpa delle corse in spider, sul lungomare di Mergellina, e della capote che teneva costantemente sollevata. Napoli lo conosceva anche per questo. Andò alla finestra e guardò fuori. C’ era un velo di nebbia, che il pallido sole che si intravvedeva sulla Mole non riusciva a dissipare. Si portò la mano alla fronte. Scottava per la febbre. Ottavio Bugatti, detto “il gatto magico” imprecò alla mala sorte. Quel giorno di novembre del 1957, il Napoli, terzo in classifica con 15 punti, incontrava la Juve di Charles, Sivori e Boniperti. Ed a lui, ad Ottavio Bugatti, sarebbe stato consegnato il premio Combi, come miglior portiere della stagione precedente. Quando Comaschi entrò nella stanza, per scendere con lui nella sala colazione, lo trovò su letto disteso. Le coperte tirate fin sul viso, l’ immancabile bottiglia di cognac distesa accanto a lui. “Ho la febbre alta, non so se gioco. Mandami su il mister”. Si sparse la voce in un amen. Bugatti ha la febbre. Non gioca. Piombò nella stanza perfino il presidentissimo Lauro assieme ad Amadei e mezza squadra trepidante. Maledetta sfortuna. La solita “ciorta”, tutta partenopea.
Invece, Ottavio Bugatti, quel giorno, giocò. Con 38 linee di febbre. E fu il migliore in campo. Protagonista di una partita indimenticabile, che permise agli azzurri di passare al Comunale per 3 a 1. Segnarono Vinicio, Di Giacomo e Novelli. Per i bianconeri John Charles, il gigante gallese. Bugatti parò tutto. Fermò gli assalti juventini con una serie di interventi strepitosi, che consegnarono quel pomeriggio alla storia. Sarebbero passati altri trent’ anni esatti, prima che il Napoli, guidato da uno scugnizzo argentino, tornasse a violare il tempio torinese. Accadde nel 1987, e fu ancora 3 a 1. Ma quella partita appartiene alla leggenda. Ed Ottavio Bugatti, “il gatto magico”, il portiere che arrivò sul golfo facendo inorridire Monzeglio, il tecnico azzurro dai modi bruschi e la fama di sergente di ferro, presentandosi al primo allenamento bevendo una bottiglia di cognac, l’ uomo che viaggiava in spider decapottabile, un foulard alla gola ed una donna sempre diversa di fianco, vivendo di notte, creò il suo mito, quel giorno. Un mito che, nella città delle leggende, viene narrato di fianco alle storie più belle. E quelle calcistiche non hanno rivali, a Napoli.
a cura di Stefano Iaconis