Ogni sessione di mercato ha il suo slogan, la frase che gli operatori ripetono per settimane con insistenza e apparente frustrazione. Quello dell’estate 2020, immediatamente fatto proprio e diffuso da Juve e Inter, Roma e Milan, Napoli e Fiorentina, Cagliari e Samp, Parma e Bologna, insomma da tutti o quasi (fanno eccezione l’eurogioielleria Percassi e il Verona che ha riempito le casse con Amrabat e Rrahmani e sta per cedere anche Kumbulla e Faraoni) è «prima vendiamo e poi compriamo».
Anche un anno fa le stesse parole furono pronunciate da più di un dirigente: da giorni, però, si sono trasformate in una sorta di insopportabile, ma comprensibile tormentone comune.
Le ragioni sono facilmente intuibili: la pandemia ha prodotto autentici sconquassi devastando bilanci, rapporti e umori. Le prospettive a breve e medio termine, poi, non sono affatto rosee, visto che – sempre a causa dell’emergenza – voci essenziali quali abbonamenti e biglietteria (stadi vuoti) e sponsorizzazioni, per non parlare dei diritti televisivi presto in discussione per il triennio 2021-24, subiranno vistosissime contrazioni o in alcuni casi l’azzeramento.
Per una Juventus che deve liberarsi di Higuaìn e Khedira, De Sciglio e Bernardeschi, Douglas Costa e Rugani, c’è una Roma che lunedì aprirà ufficialmente il ciclo Friedkin ma che, nel frattempo, costringe l’ad di transizione Guido Fienga a affidare una serie di mandati a vendere: la lista degli esuberi include Santon, Under, Kluivert, Pastore, Florenzi, Juan Jesus, Pau Lopez, Olsen, Karsdorp, Fazio, Schick, Perotti, Bruno Peres e potrei proseguire all’infinito estendendo – come detto – il discorso alla concorrenza.
Ma non è finita: sempre per effetto del covid non si innesca il fattore domino: pochi, anche a livello internazionale, i club in grado di spendere. Un esempio: il sanissimo Bayern, che negli ultimi vent’anni ha chiuso 19 volte in attivo (non a caso si è permesso di spendere 60 milioni per strappare Leroy Sané al City), accusa una perdita tra i 5 e i 6 milioni ogni volta che gioca nel proprio stadio senza pubblico e anche per questo si muove con cautela.
Cosa ci dobbiamo aspettare da qui a inizio ottobre? Sarà possibile sognarsi più competitivi? Prevedo scambi anomali, non sempre di natura strettamente tecnica, plusvalenze oltre il tollerabile, dolorose svalutazioni e rari “acquisti solidali”. Le idee che un tempo venivano da sole, e spesso non erano buone, ormai latitano. Ci vorrebbe un aiuto speciale. C’è chi sostiene (il presidente della Lega Dal Pino) che possa arrivare dai private equity. Considerate le condizioni in cui versa il calcio italiano, il fondo è meglio inglobarlo che toccarlo.