Sacchi: “La vedo difficile la Champions alla Juve”

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«Tifo per Rino e spero che insista con la sua mentalità nobile: bisogna vincere con merito». Arrigo Sacchi, il vate di Fusignano, l’allenatore che ha rivoluzionato il calcio mondiale, racconta l’attesa di Maurizio Sarri per lo scudetto, il Napoli di Rino Gattuso, i rimpianti di Carlo Ancelotti e le ambizioni italiane in vista del ritorno della Champions.

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Sacchi, perché Sarri sta facendo tutta questa fatica per vincere lo scudetto, senza peraltro aver convinto il mondo Juve?
«L’altra sera ero a Ravenna con Riccardo Muti e si parlava di Maurizio. E io gli dico: maestro, ma se chiede per la sua orchestra un violinista e invece le forniscono il miglior clarinetto del mondo, è la stessa cosa per la sua musica?».
Le ha risposto di no.
«Ma ovvio che ha risposto così. Mi aspettavo queste difficoltà di Sarri. Al centro del progetto c’è il giocatore o il gioco? In un film conta la trama o l’attore? Roberto De Niro va bene per qualsiasi tipo di film? Ecco, Sarri ha dovuto fare i conti con giocatori che in questi anni hanno dato davvero tanto e quello che c’era prima, Allegri, era ai suoi antipodi. Se uno è al polo Sud l’altro è al polo Nord. Allegri diceva vale solo la vittoria e allora ha costruito una squadra in base a questo intento. Sarri ha preso la sua squadra, con un anno in più, satura di vittoria e cos’altro poteva fare?».
Vince per mancanza di avversari?
«Un calciatore della Juve vale quanto tutta l’Atalanta. Ma non solo per questo: vincerà lo scudetto anche per gli sforzi di Maurizio di trovare un equilibrio tra queste difficoltà. Non si muove nessuno senza palla. Non corrono finché non hanno la palla tra i piedi».
Gli rimprovera qualcosa?
«Ritorno all’esempio dei film: non era il regista adatto per questi attori. Doveva accettare? Forse no. Ma la prossima stagione le cose possono cambiare. Io arrivai al Milan, ero un signor nessuno ma mi imposi: questo e quello non lo voglio. Puntai i piedi. Mi ascoltarono. Forse a lui è mancato questo».

Le piacciono i film. Chissà come sarebbe andato d’accordo con De Laurentiis.
«È un presidente bravo, difficile, che guida la squadra di una città non facile e che mette al centro di tutto il bilancio. E quindi ogni suo obiettivo calcistico è conquistato con onestà. Perché io provo disgusto per chi vince indebitandosi. Non si vince in questa maniera».
Eppure con Ancelotti non è andata come tutti si aspettavano. Ne è rimasto sorpreso?
«A Napoli Carlo è stato accusato di una cosa che mai nessuno al mondo gli aveva imputato: di non saper gestire un gruppo. In tutto il mondo lui è famoso per questa sua straordinaria abilità. Prima o poi avrà una laurea ad honorem in psicologia. A Napoli è passato, invece, per uno che non capiva cosa volevano i suoi calciatori. Evidentemente le colpe non erano le sue, ma di qualcuno della squadra».

Una squadra che con Gattuso ha trovato un equilibrio. A Barcellona come deve giocare il Napoli?
«Con coraggio. E ha ragione Rino quando dice che quella partita non si prepara nei due o tre giorni precedenti ma in queste settimane. E dunque ha ragione ad arrabbiarsi quando non vede mentalità, quando non vede ordine, quando vede disattenzioni, quando si accorge che non c’è comunicazione. L’1-1 non è un risultato semplice, va fatto un gol. Il Barcellona non giocherà per lo 0-0. Non lo farà mai. Non fa parte della sua storia. Ma sa come si dice? Se c’è il beccamorto in casa vuol dire che c’è il morto. Significa: se il Napoli penserà solo a difendersi, se avrà il Barcellona tutto nella propria metà campo, prima o poi il gol lo prenderà. E Gattuso questo lo sa».
La Coppa Italia ha già reso positiva questa stagione del Napoli?
«Si stanno gettando le basi per un progetto interessante. Rino è straordinario, non si può non amare. È un ragazzo che dà tutto, sempre. E quando sei così, migliori. Come sta facendo. Tolga il tatticismo e dia uno stile. Ha il tempo e le capacità. E ha un alibi, se non vi è riuscito fino ad adesso: ha trovato una situazione molto complicata, ha gestito situazioni difficilissime. Mi piace perché ha modestia, entusiasmo, intelligenza. Sarebbe stato il mio calciatore ideale perché quando facevo le squadre li volevo così».
Ringhio non dà tregua neppure adesso alla squadra. Fa bene?
«Il lavoro è alla base di ogni cosa. Venne a Milanello la Nazionale per qualche giorno. Bagni e De Napoli vennero a vedere per due giorni i nostri allenamenti e alla fine dissero: Abbiamo visto fare in queste 24 ore più cose che noi in un mese. È la mentalità e il lavoro che porteranno lontano Gattuso e il Napoli».
Che ne pensa di questo calcio in estate?
«Si doveva ripartire, tante società sarebbero saltate. E la cosa giusta da fare. Un anno fa, il sindaco di Caldarola, nelle Marche, mi invitò nel suo paese per parlare del mio libro. Era un borgo medievale a pezzi per il terremoto, la vita era nei containers. Dissi: Ma che senso ha parlare di calcio?. E lui mi rispose: Il calcio serve a distrarre, a tenere lontano i pensieri dai propri problemi. Ed è la cosa giusta da fare».
L’Italia può vincere la Champions con la Juve, il Napoli o l’Atalanta?
«Il nostro è un Paese vecchio e in crisi economica e morale, senza progettualità. Puntiamo al singolo e allo straniero, perché non abbiamo idee. L’Atalanta ricorda il mio Milan, giocano in 11, giocano insieme e non ognuno per conto suo. Ma vedo difficile un trionfo italiano in questa edizione. Anche se la formula può riservare grandi sorprese».
La riconferma di Pioli conferma che la scuola tecnica italiana ha ripreso il suo posto di comando?
«Ora faccio il tifo per lui. È cambiato, Pioli. I rossoneri non sono più quelli visti prima del Covid. È scomparso il gruppo timido, incerto, con scarse sicurezze e conoscenze. Adesso è una vera squadra, coesa, determinata e coraggiosa. Figlia della conoscenza e dell’innovazione».

La partenza di Koulibaly può indebolire il Napoli?
«È un difensore il cui rendimento è sempre assai legato a chi ha vicino nel reparto. Ma a volte, spesso, si fa prendere dalla foga, si lascia andare a iniziative particolari, si lascia travolgere dall’agonismo. E questo è un limite».
Come è il calcio in Italia?
«Lo specchio di noi tutti. Se il campo fosse lungo 5 chilometri, in ogni caso, staremmo tutti negli ultimi venti metri. È più forte di noi».
Sacchi, questa regola sul fallo di mano la manda giù?
«Ma era ora! Poiché siamo un popolo disonesto e servile serviva una cosa del genere. Prima quando la palla sfiorava il braccio di un calciatore di una big in area di rigore, non avrebbero mai fischiato il rigore alla piccola di turno. In caso contrario, sarebbe stato rigore sicuro. E allora dico: evviva. Giusto così, anche i più deboli sono tutelati».
Un consiglio a Gattuso, Pioli e tutti gli altri?
«Finale di Coppa Campioni con lo Steaua: facciamo il primo gol e tutti dicono, ecco ora si mettono a fare il catenaccio. Ma il mio Milan si ferma solo sul 4-0. Ecco, questa è la strada!».

Fonte: Il Mattino

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