Gennaro Iezzo ai microfoni di Casanapoli.net parla della sua esperienza nel Napoli e sugli avversari che lo hanno messo più in difficoltà.
La tua carriera inizia con Juve Stabia, Scafatese, Avellino e Nocerina. Poi ti allontani dalla Campania nel ’97, difendendo i pali di Verona, Catania e Cagliari. In Sardegna fai l’immediato salto dalla B alla A e disputi il primo campionato in massima serie. Ma il tuo cuore ti porta ad accettare la proposta del Napoli, che all’epoca militava in C1. Credi che altri calciatori al tuo posto avrebbero fatto lo stesso? “Non so se altri avrebbero preso la stessa decisione. So per certo invece che la mia è stata una scelta di cuore. Sono sempre stato tifoso del Napoli, ho esaudito un sogno. Non è stato facile perché avevo un contratto pronto con il Cagliari e un altro, ancora più importante, di 4 anni con una società blasonata come l’AEK Atene che disputava la Champions. In molti mi ripetevano che si trattava di una scelta folle, ma ripeto, davanti alla possibilità di realizzare il mio sogno, sentivo di dover accettare.
Difendi i pali del Napoli per sei anni, dal 2005 al 2011. Probabilmente i primi due sono stati i più intensi. Ottieni infatti due promozioni consecutive: la prima in B subendo 18 reti in 32 presenze e quella in Serie A subendone appena 25 in 39 partite. Praticamente la porta di quel Napoli era un bunker. Qual è il ricordo che più ti emoziona di quel biennio?
“Sicuramente la partita di Genova. C’era il gemellaggio tra le due tifoserie, allo stadio si vedevano bandiere azzurre e rossoblu mischiate in un Marassi gremito. Avevamo due risultati su tre, ma in campo dominammo la partita. Poi nel finale, visti i risultati sugli altri campi, prevalse la voglia di non rischiare. Alla fine festeggiammo insieme la meravigliosa promozione in A. E’ stata una delle più grandi emozioni che io abbia vissuto”.
Credi che l’infortunio al ginocchio patito durante la prima stagione in serie A abbia pregiudicato la tua carriera?
“Io non ero più giovanissimo, avevo già i miei 33/34 anni. Fu un infortunio strano al tendine popliteo, zona che difficilmente si lesiona. Poi ci ho giocato su per mesi, qualche problema me l’ha creato. Il problema più fastidioso è stato però quello alla schiena dell’anno successivo, che non mi ha dato tregua.
Il primo stop fu un vero peccato, perché fino a gennaio eravamo la difesa meno battuta del campionato. La squadra era molto forte nonostante fosse il primo anno di A. Non solo. Era un gruppo molto compatto che permetteva ad ognuno di noi di gettare il cuore oltre l’ostacolo per raggiungere gli obiettivi.
Poi, com’è giusto che sia, negli ultimi anni la società scelse un portiere giovane come Morgan De Sanctis e accettai il ruolo di secondo senza problemi”.
Il calciatore più forte con il quale hai giocato in azzurro?
“Sono tantissimi. Ho giocato con giocatori straordinari. Potrei fare vari nomi, come Cavani, Lavezzi, Quagliarella e altri di grande livello.Ma quello che mi ha impressionato più di tutti è Hamsik. Credo che Marek sia stato non solo il centrocampista più forte della storia del Napoli, ma credo che nel suo ruolo possa essere annoverato tra i più grandi degli ultimi tempi a livello mondiale. Al di là della sua propensione al gol, mi riferisco al suo controllo orientato e alla facilità di calcio con entrambi i piedi. Ancora oggi non so se fosse destro o mancino, perché riusciva comunque a mettere la palla dove voleva, anche con lanci di 50/60 metri. Impressionante. In più, anche fuori dal campo era di un’umiltà unica. Insomma, uno di quelli che fanno la differenza. Non è un caso se è riuscito a restare tanti anni con la stessa maglia inanellando record uno dietro l’altro”.
In molti imputano a Meret poca personalità nel comandare la difesa. Tu che idea ti sei fatto al riguardo? Cosa gli serve per completare il suo processo di crescita?
“No, non credo si tratti di questo. Ritengo abbia bisogno solo di continuità. A mio parere lui ha grandissimo carattere. Anzi, ci sono portieri che parlano persino troppo, finendo per confondere i difensori. Ritengo che la personalità non sia direttamente proporzionale a quanto ti fai sentire con i tuoi compagni di difesa. Zoff, ad esempio, era portiere e capitano, ma si faceva sentire pochissimo e parlava soltanto quando era opportuno. Meret è un portiere di altissimo livello che deve solo giocare con continuità, non avendo un vissuto importante alle spalle”.
Passiamo al Napoli di Gattuso. Gli azzurri hanno conquistato la Coppa Italia in un’annata che sembrava maledetta. Credi che il prossimo anno possa essere nuovamente competitivo? “Il Napoli ha una base importante. E’ una squadra forte, fortissima. Di certo ci sarà bisogno di qualche ritocco per cercare di insidiare la Juventus come qualche anno fa. Gattuso non si discute, sta facendo benissimo. In molti pensavano a lui come il motivatore che avrebbe dovuto trasmettere grinta, ma lui non è solo questo. Per quanto mi riguarda, parliamo di un ottimo allenatore, molto preparato dal punto di vista tecnico. Non parlo solo del Gattuso di questi mesi, ma anche quello visto al Milan, che dopo il Napoli di Sarri era la squadra che mi divertiva di più. Inoltre è un ragazzo del sud, uno che ci mette l’anima. E’ un tecnico che a mio parere farà una gran carriera”.
Sei diventato allenatore ma hai ricoperto anche l’incarico di Direttore Tecnico. Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Ti vedi più in panchina o come dirigente? “In panchina, senza dubbio. Faccio fatica a staccarmi dal campo. Ora ho una scuola calcio e con i ragazzi di una certa età bisogna essere anche educatori. Poi oggi è diventato molto difficile anche per chi si dedica a questo lavoro a tempo pieno.Fuori dal rettangolo verde, negli uffici, davanti a una scrivania, le soddisfazioni non sono le stesse. Però nella vita mai dire mai” (ride, ndr).
Fonte: casanapoli.net