Il Calcio di notte non piace alla gente: Le posizioni di broadcaster e AIC

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LA GENTE NON VUOLE  IL CALCIO DI NOTTE

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Il compromesso che ha consentito la ripresa ha partorito una stortura evidente: le gare alle 21.45 vanno contro i tifosi, i fruitori dello show. Gli ultimi match si concludono a ridosso di mezzanotte:
l’Unione dei consumatori sta ricevendo decine di lamentele.

Il calcio toglie il sonno, si sa. Ma stavolta non c’entrano i sogni o gli incubi dei tifosi. Questa è una sottrazione di riposo scientifica e voluta perché oltre la metà dei 124 match post-Covid (in 43 giorni) sono e saranno fruibili in notturna, così da stravolgere le abitudini delle famiglie italiane che faranno mezzanotte davanti alla televisione e la mattina seguente dovranno comunque recarsi sul posto di lavoro. È una scelta della Lega Calcio che ha incastrato le partite in tre diverse fasce orarie per venire incontro alle esigenze dell’Assocalciatori: 17.15 (solo 10 partite e mai al Sud), 19.30 e 21.45.

POSIZIONI

Quelli che indossano maglia, pantaloncini e scarpini sono stati chiari fin dal principio, esprimendo un convinto “no” ai match in pomeridiana nella torrida estate che già inizia a farsi sentire. A differenza di altri campionati (in Spagna il primo match comincia alle 14, e prima era stato fissato alle 13), l’Assocalciatori ha preteso di non giocare in pieno pomeriggio.

Poiché i giocatori erano preoccupati dal rischio infortuni a causa del caldo e degli impegni ravvicinati. E lo stesso slot delle 17,30 è stato consentito solo per dieci partite su 124. La Lega si è trovata in mezzo a due fuochi: i calciatori da un lato del campo, le televisioni dall’altro. E se i primi hanno posto il paletto sopra citato, le emittenti hanno preteso il “campionato spezzatino” per garantirsi esclusive e ascolti. Un tifoso della Fiorentina, per esempio, sa che in una determinata fascia oraria gioca solo la sua squadra e ovviamente la vedrà, ma fruirà di Sky e Dazn dal lunedì alla domenica per vedere anche la Juve, la Lazio, l’Inter, l’Atalanta, la Roma, il Napoli, il Milan e così via.

I broadcaster, in media, pagano dagli 1,7 ai 3 milioni per ogni partita che trasmettono. La logica che sta dietro il loro ragionamento è intuibile: più pubblico davanti alla tv equivale a incassare maggiori introiti pubblicitari. Fonte: CdS

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