Messaggi da tutto il mondo per il lutto di Gattuso. Venerdì Corigliano i funerali della sorella
La prima e l’ultima telefonata, di ogni giorno da quel 3 febbraio, Rino Gattuso la faceva a sua sorella Francesca: ieri non ne ha avuto il tempo e il dolore l’ha scoperto completamente «nudo», in una stanza di Castel Volturno riempita dalle lacrime, dalla debolezza che ti sovrasta dinnanzi al dramma da affrontare con forze da scovare in se stesso per farsi coraggio e trasmetterne. È stato un attimo, poi s’è sentito annientato, demolito per quella speranza svanita per sempre, per un’esistenza stravolta, divenuta vuota, non essendoci più sua sorella a riempirla. «Francesca non ce l’ha fatta». E’ quella battaglia lunga e terribilmente impari, cominciata nel 2017 e poi divenuta cruenta, ora spalancava alla disperazione più acuta: si può essere duri quanto si vuole, e si può persino ritrovarsi guerrieri, ma dinnanzi alla ferocia del destino non ci sono difese e Gattuso ha scoperto le fragilità dell’uomo, di chiunque, e la forza bruta della sofferenza, con sua mamma in lacrime che l’avvisava. Era da quel lunedì 3 febbraio, si giocava Sampdoria-Napoli a Marassi, che la notte era scesa dentro di lui: e quella non fa una partita ma una montagna russa d’emozioni calcistiche divenute improvvisamente relative, soffocate faticosamente sino al fischio triplice vissuto da Gattuso come una liberazione, perché Francesca stava peggio. «Vado da lei». Francesca, sua sorella, era in ospedale a Busto Arsizio, aggredita ormai da tre anni da una forma di diabete violento che quella notte l’aveva prima trascinata in sala operatoria e poi aveva continuato a sfiancarla, lentamente, ad appena trentasette anni. «È difficile ma lei è una combattente». Ci ha provato a resistere, per suo figlio, Alessandro, cinque anni, per suo marito, Marco, per la mamma e per il papà, per se stessa e anche per sua sorella, Ida, e per Rino, che le stava intorno come poteva, pur dovendo subire questo maledetto lockdown che lo imprigionava in casa, inchiodandolo ai ricordi e a quella sensazione di terrore che t’afferra quando hai la percezione che devi rassegnarti. E in quell’istante, quando la mamma l’ha chiamato, Gattuso s’è dovuto irrimediabilmente arrendere a una sentenza già scritta. Castel Volturno è rimasta alle sue spalle e in quel viaggio infinito in auto verso Gallarate, con sua moglie e i suoi figli, hanno provato a fargli compagnia le centinaia di messaggi, il sostegno riservatogli da un mondo stordito. E l’affetto può aiutare, alimenta una barriera invisibile per reagire: De Laurentiis, dopo avergli telefonato, l’ha teneramente «abbracciato per stargli vicino con la moglie, i figli, il Napoli tutto e la Filmauro»; e il Milan, dove Francesca aveva lavorato, ha ricordata con dolcezza «la carica e la solarità con cui ha vissuto Milanello e il Milan ogni giorno» e si è stretta a Gattuso, che è parte di quella famiglia rossonera. Ma poi sono arrivate le testimonianze del Barcellona e dell’Inter, della Lega di serie A e del Parma, del Cosenza, e della curva B del San Paolo che hanno esposto in città un enorme striscione mentre lui arrivava a Gallarate, per l’ultimo saluto a Francesca, che domani tornerà a Corigliano, per i funerali di venerdì. Foto Il Giorno – Antonio Giordano (CdS)