Dopo l’esonero del 1996/97, Simoni sarebbe tornato a Napoli nell’autunno 2003, chiamato dal presidente Naldi e dal ds Perinetti per risollevare la squadra, finita con Agostinelli nelle zone basse della serie B. Lui, innamorato della città e della sua gente, si fece dare una suite all’Hotel Mediterraneo, l’albergo del patron. E questo fece capire ai tifosi che tutto era precario. Sarebbe arrivata la salvezza in condizioni di estrema difficoltà, con i giocatori che avevano messo in mora il club perché gli stipendi non erano pagati. Il 2 agosto 2004, quando il Napoli fallì, Simoni era già lontano. L’ultima panchina di serie A gliela avrebbe affidata un presidente napoletano, Paolo De Luca, proprietario del Siena.
Durò poco anche quella esperienza e Gigi lanciò accuse sull’esonero del 2005. Parlò di manovre della Gea, la potente società di procuratori che assisteva anche il difensore Colonnese, il suo figlioccio. Quello degli intrighi non era il calcio di Simoni, 7 maglie da giocatore e 262 compagni di squadra, 607 calciatori allenati in 17 club (38 anni in panchina), 7 promozioni in A, in bacheca il Torneo Anglo-Italiano con la Cremonese e la Coppa Uefa con l’Inter. Le ultime esperienze a Gubbio, con un altro fedelissimo conosciuto a Napoli, Fabio Pecchia, prima di un incarico dirigenziale a Cremona.
Sereno il distacco dal calcio, il mondo in cui aveva costruito solide amicizie, anche quella con Claudio Baglioni. Il cantautore regalò a Simoni una medaglietta quando andò via dalla Lazio («C’era scritto: Per un amico che partendo non se ne va. La misi subito al collo») e un pensiero per la biografia «Simoni si nasce»: «In fondo lui non pretendeva di cambiare il mondo ma neanche il mondo è riuscito a cambiare lui». L’uomo dallo sguardo buono che allenò Ronaldo e i ragazzini della Carrarese, l’allenatore perbene che fece sognare gli 80mila del San Paolo e i 3mila dello campo di Gubbio. Buon viaggio, Gigi
Il Mattino