Daniele Popolizio (mental coach): “Ci sono stati atleti che mi hanno contattato durante il lockdown”

«La nuova dimensione può aiutare i calciatori mentalmente più deboli»

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Sabato, con le partite della Bundesliga, il calcio è ufficialmente entrato in una nuova dimensione: niente pubblico, niente abbracci in campo dopo un gol. «Questa situazione, del tutto inconsueta, può aiutare a fare emergere i calciatori meno forti mentalmente», spiega il professore Daniele Popolizio, psicologo e psicoterapeuta romano, presidente del gruppo Cenpis (centro nazionale di eccellenza di psicologia),mental coach di campioni come Pellegrini, Magnini, Kostner, Zaytsev, Crespo e Burdisso.

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Come cambia il calciatore, sotto l’aspetto psicologico, dopo il Coronavirus? «Partiamo dall’assenza del pubblico.Manca un rinforzo o un elemento contrastante per l’atleta, che abitualmente lavora anche per reggere l’impatto con gli spettatori. Sotto questo aspetto per il campione, per il più forte emotivamente, viene meno l’elemento sfidante mentre sene può giovare colui che soffre di più lo stress. Sarà interessante verificare dopo i primi infortuni, probabilmente da attribuire al lungo periodo di inattività, quanti vene saranno successivamente, perché nel corso dei campionati ci sono atleti che hanno problemi fisici legati a un sovraccarico da stress e non a un infortunio vero e proprio,di quelli che cura il medico».

Al calciatore manca anche l’abbraccio dopo il gol. «Altro importante elemento motivazionale, perché il gol ha un connotato simbolico psico-sessuale e per questo motivo il calcio è lo sport che stimola di più il senso di appartenenza nelle persone. Vi sono studi scientifici che dimostrano che appunto calcio e Formula 1 sono le discipline che maggiormente sollecitano la partecipazione sotto l’aspetto emotivo.Giocando sempre a porte chiuse, si potrà anche verificare quale realmente sia l’incidenza psicologica della partita in casa sull’atleta».

La ripartenza del calcio è indicata come un segnale positivo per la comunità dopo i tormenti del lockdown per la pandemia: è così? «Il calcio ha una componente strategica simbolica, indubbiamente. Il grande pubblico ha voglia di rasserenarsi e di credere in qualcosa, anche attraverso questo potente strumento. Per chi non ha ancora ripreso l’attività agonistica, dunque per la stragrande maggioranza dei calciatori, c’è un problema legato all’obiettivo,che non è immediato, la partita da vincere tra una settimana o la sfida di coppa tra un mese.Ci sono stati atleti che mi hanno contattato durante il lockdown per mantenersi attivi sotto l’aspetto mentale. Il consiglio in questa fase è che bisogna uscire dall’ottica pratica dell’obiettivo, che non è più esterno ma interno. E interiormente vi sono grandi motivazioni da scoprire. I calciatori in questo momento rappresentano qualcosa in più di se stessi e della loro squadra».

E cosa rappresentano? «Non c’è l’obiettivo medio e tangibile da raggiungere,ma qualcosa di più alto, con un valore etico. La meta non è soltanto economica,pur rispettabile, ma sociale perché si può conquistare un nobile traguardo, dando fiducia a chi segue questo sport. Ecco perché sono state fastidiose le polemiche sul taglio degli stipendi, almeno iniziali, perché poi molti club hanno raggiunto intese con i loro tesserati. I calciatori devono avvertire la responsabilità di un’occasione per la rimoralizzazione dell’ambiente».

Foto: napolimagazine

Fonte: Il Mattino

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