Il 15 maggio del 1983 Bruno Pesaola sedette per l’ultima volta sulla panchina del Napoli. Trentasette anni fa il Petisso guidò di azzurri nell’ultima gara da allenatore al San Paolo. Il match era Napoli-Cesena terminato con il successo azzurro per 1-0 con gol di Paolo Dal Fiume.
Bruno Pesaola è stato un grande protagonista della storia azzurra sia come calciatore che in veste di tecnico.
Da giocatore vanta 253 presenze assolute con la maglia azzurra (20esimo azzurro di sempre) e 240 in Serie A (decimo azzurro di sempre). Successivamente da allenatore ha ottenuto 293 panchine totali, score che rappresenta ancor oggi il record assoluto nella storia del Club. Ma non bastano i numeri a scandire la sua epopea.
Nonostante fosse nato ad Avellaneda, quando parlava di se stesso diceva “Mi sento più napoletano che argentino”.
Lo chiamavano il “Petisso” che in argentino significa “piccolino”, per la sua statura. Ma nessuno al tempo poteva mai immaginare quanto un uomo così piccolo potesse scrivere una storia tanto grande.
Di Napoli si innamorò subito, tanto da trascorrerci anche il viaggio di nozze con la adorata moglie Ornella. Attaccante rapido, cominciò la sua avventura in azzurro nel 1952 al fianco di Hasse Jeppson. Col Napoli giocò 8 stagioni, fino al 1960. Ma il cordone ombelicale con la nostra città non si spezzò mai anche dopo aver smesso la carriera da calciatore.
Nella stagione 1962/63 tornò a Napoli da allenatore in Serie B. E fu un ritorno trionfale perchè gli azzurri furono promossi in A e vinsero la Coppa Italia battendo la Spal in finale per 2-1. E’ il primo trofeo del Napoli che resterà l’unica squadra militante in Serie B nella storia ad aver vinto la Coppa Italia.
Pesaola per Napoli non rappresentò solo narrazione calcistica, ma anche letteratura sportiva. Discuteva come un saggio, amava le parabole filosofiche. Introdusse l’eloquenza applicata al pallone con un coinvolgente gusto per l’ironia. I suoi proverbi divennero famosissimi, le sue metafore sono ancora nel nostro immaginario, il suo cappotto di cammello fu amuleto e simbolo di un periodo.
E proprio con quel cappotto di cammello si ripresentò quando il Napoli lo richiamò nel 1982 per salvare la squadra in piena zona retrocessione. Il Petisso subentrò a Giacomini e riuscì nell’impresa che in città fu salutata come una immmensa gioia. Si sedette sulla panchina azzurra a 58 anni in un disperato Napoli-Genoa del dicembre del 1982. Match salvezza con gli azzurri piantati sul fondo della classifica. E, per giunta, sotto di un gol coi Grifoni che stanno vincendo 1-0 al San Paolo. Poi quasi al 90esimo arriva un calcio di rigore per il Napoli. Il Petisso in panchina si volta spalle al campo e bacia il crocifisso senza guardare. Ferrario dal dischetto segna. Pesaola esulta e stringe le lacrime di commozione nel suo cappotto portafortuna.
L’ultima gara di quella storica stagione arrivò appunto il 15 maggio del 1983, 37 anni fa, con il successo per 1-0 sul Cesena che decretò la salvezza. L’ultimo marchio indelebile del Petisso sulla storia azzurra. Fonte: SSC Napoli