ACCORDI
Intanto, dinanzi a uno scenario simile, dagli esiti tutti da verificare in sede di giudizio, e in attesa della cassa integrazione anche per i contratti al di sotto dei 50 mila euro lordi, molti calciatori stanno preferendo evitare rischi accettando riduzioni sostanziose dei propri compensi pattuiti prima dell’esplodere della disastrosa emergenza sanitaria. Anche perché trovarsi senza un contratto a settembre vorrebbe dire non avere offerte di lavoro congrue a quelle sottoscritte in passato.
Qualcuno sta preferendo spalmare i precedenti ingaggi su più anni. Per garantirsi un futuro quanto meno dignitoso anche se comunque incerto a causa della tenuta dei club di appartenenza. Inoltre bisogna considerare che gli stessi scienziati, costantemente consultati dalle autorità governative, non hanno escluso finora la possibilità dell’inasprirsi dei contagi tra settembre e ottobre. Un’ipotesi estrema, ma impossibile da escludere al momento. Ecco perché, qualora non si dovesse tornare a giocare, il rischio di nuovi disoccupati eccellenti e non apparirebbe molto più concreto.
E’ chiaro che queste argomentazioni dovrebbero convincere anche i più scettici a sostenere una possibile ripresa e a valutare attentamente la possibilità di riscendere in campo, adottando il disciplinare medico-scientifico che oggi dovrebbe avere l’approvazione dei tecnici e del Governo. Una garanzia assoluta di tutela della salute dei calciatori e di tutti gli addetti ai lavori. Un ritorno in campo interromperebbe immediatamente il termine dei sei mesi previsto dagli accordi collettivi e salverebbe tanti contratti in essere sia pure rimodulati rispetto al passato. Un passato opulento e ricco che, è ormai evidente, difficilmente potrà tornare. Ma non tornare in campo sarebbe anche peggio! Fonte: CdS