L’appello di Mario Rui: “Da questo stop, ci potrebbe essere la rinascita del movimento”

Il terzino sinistro del Napoli parla della squadra di come si sta allenando

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Dategli un pallone, lasciando che possa rotolare verso il futuro che è di tutti, del calcio dei ricchi ma anche di quello che viene ingiustamente ritenuto “minore”, di questo mondo che non appartiene solo a chi è famoso ma a cui il Napoli, attraverso Mario Rui, intervenuto ieri a Radio Kiss Kiss, pensa in questi giorni dolorosi e ormai insopportabili.

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«Perché nello sport, in ogni sua disciplina, ci sono persone che hanno bisogno di lavorare per viverci ed è per questo che spero ci possa essere la rinascita del movimento». 
Dategli, insomma, una chiave, per evadere, per riprendersi – visto ch’è possibile – “evadere” dalla “clausura” senza diventare un pericolo, ma standosene ognuno a tre o quattro o cinque metri dal compagno, in quei tre campi che sono così lunghi e larghi e che offrono le condizioni per non avvertire la precarietà di provare ad allenarsi in “garage”, come fa Mario Rui, «o con quello che c’è a disposizione, per esempio un balcone: abbiamo un programma di lavoro che ci manda ogni giorno Gattuso con il suo staff, però ovviamente non è la stessa cosa». 

L’APPELLO

E c’è un appello, in quella voce, perché il 18 maggio rimane ancora un orizzonte lontano, e il resto – il campionato, eventualmente la Champions o la coppa Italia – restano avvolti nell’incertezza, in questo misterioso “nemico” che può essere affrontato solo quando la Scienza troverà un vaccino, ma che almeno va fronteggiato fisicamente e psicologicamente, rimettendosi un paio di scarpette ai piedi, pantaloncini e magliette, stando assieme ma non vicini, magari a Castel Volturno, per correre e pensare che si possa ricominciare ad inseguire un pallone, con dentro un sogno. «Cerco di fare tanto lavoro aerobico e di forza. Parlo spesso con Gattuso, che telefona a tutti per chiederci se ci stiamo allenando, se stiamo mangiando, ma anche per sapere come stanno le famiglie». Prossima chiamata (e lo sperano): il campo. 

La Redazione

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