Emanuele Calaiò è un calciatore che ha lasciato un segno indelebile nella mente dei tifosi partenopei. L’ex azzurro, intervenendo durante il LIVE Instagram di NapoliSoccer.NET, ha raccontato a cuore aperto i momenti più significati della sua esperienza all’ombra del Vesuvio, analizzando la sua avventura in azzurro e il rammarico di non essere riuscito a dare al Napoli in A, ciò che era riuscito a dare in C e in B.
Per le tue esultanze ai gol ti chiamavamo ‘l’arciere’, spiegaci come nasce questa esultanza.
“Semplicemente è nata con degli amici a cena a casa mia, stavamo pensando ad un’esultanza da fare nella prossima partita al San Paolo. Tutti i giocatori imitavano Totti o Toni nelle esultanze, io ne volevo una tutta mia. Con i miei compagni decidemmo questa esultanza, una sorta di Robin Hood, che scagliava una freccia, che vola diritta nel cuore della tifoseria napoletana ed emozionarli. Era un modo per coinvolgerli, come se avessimo fatto gol assieme”.
Sei stato un rigorista freddo e glaciale, 41 gol su 49 rigori tirati…
“Per tirare un rigore bisogna arrivare tranquilli sul dischetto, essere freddi ed avere personalità: i rigori solo chi non li tira non li sbaglia mai. Tanto tempo fa non esistevano i video, quindi i portieri andavano ad intuito, adesso i preparatori dei portieri fanno vedere i filmati degli ultimi rigori che uno calcia. Proprio perché si sa che i portieri ti hanno studiato, spesso chi calcia è costretto a cambiare angolo e modo di tirare. Sembra facile ma vi assicuro che non lo è. Quando ero al San Paolo, con tutta la schiera di persone che ti guardava, non era facile calciare un rigore, in quelle circostanze la porta si rimpicciolisce sempre di più. L’esperienza ti porta ad essere più tranquillo e rigore dopo rigore, ne accumuli tanta da non sentire più la pressione.
Il rigore più pesante? In determinate occasione la palla scotta particolarmente, soprattutto nei finali di stagione, quando ti giochi un play-off, un campionato, una salvezza oppure una competizione importante. Quando ho finito la mia carriera l’anno scorso a Salerno, ai play-out con il Venezia dovevo battere un calcio di rigore e ricordo che in quella occasione la palla scottava tanto. Ci si stava giocando la permanenza in Serie B. Ho tirato altri rigori importanti: a Catania, quando lottavo per i play-off, a Napoli. Ci sono partite, come quelle di inizio campionato, in cui hai un rigore ed il pallone non pesa, lo calci con più tranquillità.
Agli inizi decidevo un angolo e lo tiravo forte, il portiere pur restando fermo fino alla fine non riusciva a prenderlo. Per arrivarci doveva realmente tuffarsi prima. Negli ultimi periodi guardavo il portiere fino alla fine, quando trovavo un portieri che si muovono prima era più facile segnare. Non sono solo i portieri a vedere i video, anche i grandi rigoristi ed attaccanti lo fanno ed in basi a quello che hanno visto decidono come calciare”.
Debutti in Serie A a 18 anni e segni la prima rete dopo otto minuti dal tuo debutto…
“Senza dubbio è il ricordo più bello della mia vita calcistica. In quel momento pensi a quando eri bambino, alla tanta gavetta che hai fatto ed ai sacrifici che hanno fatto i tuoi genitori per esaudire un tuo sogno. Quel giorno, con il gol al debutto in Serie A, quel sogno si è realizzato. Ho pensato che fosse la ciliegina sulla torta per tutti i sacrifici che ho fatto e che i miei genitori hanno fatto per me. Quel giorno a Reggio Calabria, c’erano i miei genitori ed i miei parenti, è stato bello, ho realizzato il sogno che avevo da bambino. Quella rete mi ha dato continuità e mi ha permesso di calcare i campi più importanti”.
Tra i tanti gol in maglia azzurra, quale ricordi con più piacere?
“Per significato, valore, emozione, importanza e bellezza del gol penso che quello in Napoli-Lecce, penultima di Serie B, sia quello a cui sono più affezionato. Lo stadio era strapieno e grazie ad un mio gol, vincemmo quella partita. Andammo a Genova, a giocarci la promozione, avendo 2 risultati su 3 a disposizione. Sembrava difficile che entrambe saremmo state promosse in quella partita, tuttavia come in tutte le favole che si rispettano, in cui basta solo crederci, alla fine siamo andati in Serie A entrambe”.
Cosa ti ha spinto ad accettare la proposta del Napoli?
“Sono stato a Pescara 2 anni e mezzo, avevo voglia di confermarmi. Già a giugno avevo avuto tante richieste, dovevo andare via ma ero affezionato alla città e decisi di restare per fare altri 6 mesi di esperienza in Serie B.
Poi arrivò il Napoli, avevo bisogno di una piazza imparante che mi desse stimoli e mi facesse crescere a livello calcistico e caratteriale e accettai. Quella di portare il Napoli in Serie A nel giro di 2 anni diventò una mia sfida personale e sono riuscito a vincerla. Ho voluto sposare il progetto azzurro e sulla mia scelta ha influito molto il fatto che mia moglie fosse incinta di mio figlio Jacopo, c’era l’occasione per tornare e l’abbiamo sfruttata”.
Quali sono i ricordi della seconda esperienza in azzurro?
“Sono state due esperienze diverse, sicuramente la prima volta che sono venuto a Napoli ero giovane e sono venuto con grande voglia ma non avevo l’esperienza che ho potuto acquistare dopo.
Siamo partiti dalla rifondazione di De Laurentiis, dalla Serie C ed in 2/3 anni abbiamo riportato il Napoli in Serie A. I primi anni abbiamo giocato in campi come Martina, Manfredonia e Gela, stadi che, con tutto il rispetto, erano ridotti male.
La seconda volta – ricorda Calaiò a NapoliSoccer.NET – che sono arrivato a Napoli, sulla panchina azzurra sedeva Walter Mazzarri e trovai un Napoli diverso. La squadra azzurra lottava per i vertici della Serie A, era in corsa per una qualificata in Champions ed in rosa c’erano giocatori più importanti, veri e propri top player. È normale che trovai un notevole cambiamento rispetto al Napoli precedente”.
Se ti dicessi Livorno cosa mi rispondi?
“Il Livorno è la squadra contro cui ho segnato più gol in assoluto, era la mia vittima preferita. Tuttavia sono certo che ti riferisci alla prima doppia in A, i primi gol in A con la maglia del Napoli. Sono stati emozionanti, i primi due gol dopo tanto tempo che non giocavo. Nella massima serie ho avuto poco spazio, non giocavo tanto e la soddisfazione è stata tanta”.
Come erano i rapporti con Reja?
“Era amore e odio con lui. Abbiamo passato anni bellissimi, abbiamo conquistato due promozioni, tuttavia in B aveva spesso l’abitudine a sostituirmi per primo e poi, arrivati in Serie A, pensava che con non potessi giocare con Lavezzi. Non mi ha dato nessuna possibilità, voleva un attaccante di peso vicino al Pocho e presero Zalayeta. Il mio più grande rammarico è quello di non aver dato al Napoli in serie A quello che ho dato in C e in B, mi sarei potuto togliere delle soddisfazioni ma soprattutto le avrei potute dare ai tifosi.
Anche quando si infortunò Zalayeta mi preferì Sosa perchè, giocando con il 3-5-2, preferiva una punta di peso e Lavezzi che girava attorno.
Con Lavezzi abbiamo giocato insieme solo la prima partita di campionato contro il Cagliari e poi abbiamo sempre giocato a partita in corso. Poteva aspettare le prime 10/15 partite di campionato e tirare le somme, invece è andata cosi, scelse subito Zalayeta, poi Sosa e non volle sperimentare questo duo con Lavezzi per un po’ di partire. Ogni allenatore ha le proprio caratteristiche e fissazioni, nulla da dire”.
Nel 2013, dopo aver fatto tutto il ritiro con il Napoli di Benitez, passi al Genoa, cosa ti ha lasciato l’esperienza con Rafa?
“A me Benitez piaceva. La mia concezione di calcio è basata su un calcio offensivo, fatto di palla a terra e con molto possesso. In quel ritiro facevamo allenamenti di possesso, partitelle con tocchi di prima e scambi veloci. Ho conosciuto un grande allenatore, una bravissima persona che ti diceva in faccia quello che pensava. Un allenatore importante a livello europeo, che ha vinto tanti trofei. Grazie a lui ho avuto la possibilità di fare un ritiro con Higuain e gli spagnoli, è stato lui a portare tanti top player a Napoli”.
Higuain o Cavani, da chi hai appreso di più?
Ho appreso di più da Cavani, anche perché ho avuto più tempo per allenarmi e giocare con lui. A Napoli ho avuto la fortuna di giocare con tanti attaccanti importanti come Lavezzi, Zalayeta, Cavani ed Higuain. Con tutti gli attaccanti con cui ho giocato ho cercato di apprendere il mestiere il più possibile, cercando di rubargli qualcosa.
Higuain e Cavani sono due giocatori diversi. Higuain è più completo: un grande bomber, fortissimo tecnicamente, gioca più per la squadra e manda in gol gli esterni e l’altro attaccante. Cavani è più uomo d’aria, atleticamente è il migliore che abbia mai visto”.
Sei il cognato di Nicola Mora, meglio averlo come compagno di squadra o come cognato?
“Entrambi! Ci siamo conosciuti a Torino ed abbiamo vinto un campionato. Grazie a lui in quella circostanze ho incontrato mia moglie. È un grande cognato ma soprattutto è stato un grande giocatori. Terzini come lui prima non ne esistevano tanti, è una persona straordinaria a cui voglio un bene dell’anima”.
Qual è il tuo rapporto con la Nazionale?
“Ottimo! Le ho fatte tutte fino all’Under 21, mancava la maggiore ma ci sono andato molto vicino. Ero prossimo alla convocazione sotto la gestione Prandelli ma poi un infortunio mi fermò. Il suo secondo era Francesco Rocca, che, oltre a fare il vice, fungeva anche da osservatore, quando si giocavano le partite di campionato. Nel periodo in cui ero a Siena, mi venne a trovare in ritiro nella partita che giocavamo contro il Cesena. Gli chiesi cosa ci facesse lì, lui mi rispose che era venuto a vedere me e Mattia Destro, per una possibile convocazione in Nazionale. Purtroppo in quella gara contro il Cesena mi ruppi il perone, sono stato 5/6 mesi fermo e mi sono reso conto della dura realtà del calcio, perché per quanto si possano avere buoni doti e qualità tecnica – conclude Calaiò a NapoliSoccer.NET – bisogna anche avere un po’ di fortuna”.