Il nastro del fiume riflette il sole del pomeriggio. Il Neckar scorre placido. Con sullo sfondo gli alberi rigogliosi che si chinano, come volessero ascoltare il sussurro del vento. E lo stadio che porta il suo nome. Il Neckarstadion. Lo stadio del Vfb. Lo Stoccarda. Quello di Gaudino e Klinsmann. Piegato a Fuorigrotta da Maradona e Carnevale, dopo che lo stesso Gaudino aveva portato i tedeschi avanti. Nella finale di coppa Uefa. La prima nella storia del club azzurro. Il fiume riflette l’azzurro limpido del cielo, confuso con un altro azzurro. Quello di decine di vessilli, sciarpe, bandiere, cappelli che ornano a migliaia a loro volta le tribune dello stadio. Uno striscione recita “19 ore per amore”. Lo tiene in alto, mostrandolo fiero, un ragazzo. Ha l’aria sognante. Un lunghissimo esodo verso la città della foresta nera, nel sud della Germania, in Baviera. In treno, auto. Quelli più fortunati che sono arrivati in aereo, a poche ore dal fischio di avvio, sono ancora per strada. Ma il settore azzurro è gremito come un uovo. Mentre il pomeriggio caldissimo digrada in un crepuscolo che infiora dolce. Con dentro un profumo che arriva dal bosco oltre il Neckar. Due uomini, negli occhi il segno di una militanza antica dietro le maglie azzurre, parlano del prezzo dei biglietti. Duecentomila lire per due tagliandi. Sanguinoso. Discutono piano con due fratelli che arrivano dalla provincia. In una fiat seicento. “Tiene quindici anni”, dichiara uno dei due con un sorriso largo. Alternandosi alla guida. Senza alcun biglietto. Lo hanno trovato nei dintorni dello stadio. Due ingressi ventimila lire. Gli ultimi rimasti. Una fortuna, gongolano felici. Una fila appena dietro un tifoso completamente avvolto da un drappo azzurro. Racconta dell’allenamento del giorno prima. Lui ha assistito, dichiara gonfiando il petto. Diego ha calciato dieci punizioni. Tutte all’ incrocio dei pali. Però Careca era febbricitante. Qualcuno sussurra in preda alla paura. Ma pare giocherà. Figurati se lui proprio potrebbe mancare. Un urlo, si solleva come un lenzuolo sonoro. Eccolo, il Napoli! Viene fuori dal sottopasso. Tutti in borghese. Li accoglie un’onda di amore che si spande lungo l’ intero settore. Di fianco anche la tribuna si colora di azzurro. E di fronte. I fischi dei sostenitori tedeschi vengono travolti. Dai cori azzurri. Diego ha le mani in tasca. Saluta. Alla spicciolata lo fanno tutti. Ottavio Bianchi appena discosto cammina solitario. Come ogni volta. L’aria sul prato ha un sentore di quieta dolcezza, sui volti dei napoletani. Ma quando Alemao solleva lo sguardo verso il settore partenopeo il suo cipiglio è fiero. Concentrato. Aria da sfida. Careca c’è, Careca c’e’! La notizia corre veloce. Di bocca in bocca. Il ragazzo che tiene tra le mani alto lo striscione “19 ore per amore” lo solleva ancora più su. Verso il cielo. Ferrara lo indica. Gli batte le mani. Il ragazzo è in estasi. Urla qualcosa. Un grido tra altre migliaia di grida. Napoli! Napoli! Fortissimo. Sale nel cielo bavarese, nella sera di un Maggio indimenticabile. Riscalda i cuori di quelli che tremano al pensiero di un lunghissimo viaggio che potrà concludersi con un’amarezza nella coda. Arriva fin sul prato, quel richiamo. Maradona si batte il pugno sul cuore. Ed allora quel grido diviene un tuono. Che fuga due piccole nuvole affacciate a rincorrersi per gioco sul Neckarstadion. Che fa impallidire il sole, la cui luce tremola nell’arancio del crepuscolo. E fa sollevare gli alberi. Sul fiume. Propagandosi sulle acque, nel bosco. Aprendosi il varco verso la strada che si snoda fino a Napoli. Annunciando una storia da raccontare.
a cura di Stefano Iaconis