Ciro Ferrara: “Anche lo stadio vuoto, basta che si torni a parlare di calcio”
L'ex difensore di Napoli e Juventus ai microfoni del CdS
L’ex calciatore di Napoli e Juventus Ciro Ferrara assieme ai fratelli Fabio e Paolo Cannavaro, hanno creato assieme la fondazione nata nel 2005, tutto per la beneficenza. Ecco quanto detto nel corso dell’intervista al Corriere dello Sport.
«È nata così, dal desiderio mio, di Fabio e Paolo Cannavaro, di fare qualcos’altro per la città. La nostra fondazione è nata nel 2005 e noi conosciamo le difficoltà della nostra gente, che il virus ha amplificato. Ci siamo attivati prima e ognuno in qualche iniziativa, ma non ci è bastato».
E vi siete attaccati ai cellulari. «Per chiamare amici del nostro tempo, quelli con i quali abbiamo condiviso le stagioni delle carriere, ma anche con chi non abbiamo mai giocato. Siamo napoletani o campani che sentono la necessità, nel loro piccolo e senza avere assolutamente la pretesa di essersi inventato qualcosa di eccezionale, d’offrire un contributo. Abbiamo individuato delle associazioni ed a loro andrà il ricavato di questa asta, che consentirà di acquistare beni di prima necessità».
Si può “giocare” fino a venerdì ma il primo tempo, chiamiamolo così, non è andato poi male. «Siamo arrivati poco sotto ai trentacinquemila euro e mi sembra un risultato soddisfacente».
Poi, lei ha infilato Diego… «E solo per la sua maglietta, s’è toccata quota sedicimila».
Il calcio che, in genere, è diviso, stavolta unisce. «Nelle intenzioni, c’era questa idea: la gente, com’è giusto che sia, si identifica nella squadra del cuore, mentre stavolta ci sono state richieste trasversali e che arrivano da ogni angolo del Mondo».
Una maglia è una storia. «Per ognuno. Ma soprattutto è la testimonianza di un sentimento che tutti, nessuno escluso, abbiamo avvertito. C’è stata una partecipazione entusiastica, nella quale si è avvertita, in ogni telefonata, il piacere di essere stato interpellato. Il nostro è semplicemente un piccolo gesto, ma lo abbiamo fatto con una gioia che ancora ci pervade».
Zurigo, 10 giugno 1987, un ragazzo di venti anni ci arriva da fresco campione d’Italia, debutta in Nazionale e lo fa contro i campioni del Mondo e contro Sua Maestà, Maradona, il più forte calciatore di sempre, che è suo compagno nel Napoli e diventerà per una volta suo avversario. «E la grandezza di Diego, di cui sono stato testimone a lungo, è in quello che mi diceva in campo: tranquillo, Ciro. Ma come facevo ad essere tranquillo? Avevo vent’anni e mi succedevano tutte quelle cose assieme in una sola serata».
Viene da chiedersi oggi: ma sarà un calcio migliore, liberato da quegli odiosi cori? «È una speranza che dobbiamo avere, portandoci però dentro il timore che purtroppo qualcosa resti. Perché ci abbiamo provato, magari a parole, a sconfiggere la discriminazione, ma non ne siamo stati capaci. Non è stato possibile. E il sospetto, adesso, che passata – auguriamoci in fretta – la paura, si possa ricominciare, è innegabile».
Paura ne ha? «Ho genitori che hanno una certa età, che non posso vedere, intendo dire toccare fisicamente, e con i quali ci video-telefoniamo. A mio padre chiedo spesso della sua infanzia, durante la guerra, gli aspiro i ricordi. Ho un figlio che vive e lavora a New York, può immaginare lo stato d’ansia: sta bene, chiuso in casa come noi, ma lì la diffusione del virus sta raggiungendo vette insospettabili».
Riguarda niente in tv? «Qualcosa, in questi giorni. E spero che il calcio torni, perché il calcio dà speranza, e andare in campo significherebbe aver superato la zona buia. Certo, solo quando ci sarebbero le condizioni per farlo e senza che ci sia mai un piccolissimo pericolo per chi gioca e chi sarebbe chiamato alla organizzazione delle partite. Io non ho soluzioni, non mi permetto, per le decisioni c’è la Figc, un tavolo di lavoro fatto di esperti e di persone con conoscenze e cultura speciali. Però, vorrei che si respirasse un pizzico di normalità, anche con uno stadio vuoto: ce lo faremmo piacere, anche se il calcio è della gente. E forse servirebbe anche a chi sta in casa, anzi sono sicuro che aiuterebbe. E chiudere i campionati mi sembrerebbe giusto».
Ha avuto tempo per pensare, come tutti… «E non so cosa ci aspetti. Come saremo, come ci comporteremo, le sensazioni che avvertiremo quando usciremo da questa infinita clausura che è doverosa. Il rischio-contagio rimane alto, bisogna attendere. L’economia è in ginocchio, le aziende sono chiuse e la sofferenza degli imprenditori è percepibile. Rifletto sullo sport in generale, quello di base, i settori giovani. Ma anche a chi, quotidianamente, ha poco e rischia di non avere niente. Ecco perché ci abbiamo provato con questa asta».
Immagini: un pallone al centro del Camp Nou di Barcellona. «Va completato tutto quel che si può, Champions inclusa ovviamente. E il Napoli è in gioco, può farcela, lo ha dimostrato all’andata. Dopo una pausa così lunga, nessuno sa quale sia la condizione fisica e tattica di ognuno, e sarà ovviamente preferibile che Messi non sia in forma. Ma Gattuso è stato bravo, ha restituito fiducia, ha trasmesso molto di suo alla squadra. Ci vedi idee e capacità di gestione, in Rino, che è anche una persona fantastica, direi speciale e merita di ripartire anche nella prossima stagione».
La Redazione