Casarin: “Aumentare i cambi e dare maggiore attenzione al fuorigioco”
«Ogni guerra ha un odore, anche questa ce l’ha. La Seconda guerra Mondiale per me ha l’odore dei fossi, ci nascondevamo lì quando passava «Pippo», il messaggero della morte, prima delle bombe. Nel 1968 ero a Bratislava, in Cecoslovacchia, quando entrarono in città i carriarmati sovietici. Erano enormi, l’odore del fumo era acre, impregnava ogni cosa. Quando un paio di settimane fa ho visto la colonna dei carri militari che trasportavano le bare ho sentito un odore di morte, di vita che finiva, l’odore di chi se ne va per sempre. Vedevo le immagini come tutti noi in tivù, però quell’odore l’ho sentito ugualmente, così netto e così doloroso, e ho provato una pena infinita per quelle persone». Paolo Casarin tra meno di un mese (12 maggio) compirà 80 anni. Negli anni ’70 e ’80 è stato il miglior fischietto italiano, il più credibile. E’ stato (1990-1997) designatore di Serie A, poi ha maturato esperienza internazionale nelle commissioni dell’UEFA e della FIFA. Da anni è editorialista al «Corriere della sera» e opinionista in Rai. Ha cultura, competenza ed umanità per aiutarci a fotografare questo momento che – per il mondo e per il calcio – è così complicato.
Casarin, come sta? «Sto bene, sono a casa, a Milano con mia moglie. Non esco da più di un mese, sai, non sono più un bambino, devo stare attento. Ho scoperto che molti dei nostri bisogni erano fasulli. Curo i miei fiori in terrazzo, soprattutto il bamboo. Poi leggo molto, soprattutto saggi sulle avanguardie nella pittura del primo Novecento. Il primo a rompere le regole e creare un mondo nuovo fu Picasso».
Potrebbe succedere qualcosa di simile anche nel calcio dopo questa emergenza. Ma saprà il calcio cogliere questa opportunità? «Me lo auguro. Qui bisogna rifondare il mondo, dobbiamo prepararci. Io mi faccio domande sull’equilibrio, l’armonia, la sostenibilità: bisogna ripartire da qui. Passami l’espressione, ma credo che tutto questo sia successo perché abbiano rotto troppo i coglioni al mondo».
Quali priorità dovrà avere il calcio quando si ripartirà? «Il calcio è un gioco. E ci giochiamo tutti, da chi lo gioca a chi guarda a chi ne parla Il suo segreto è la creazione come sfogo per la libertà. Il gioco è un modo di affermare: io sono libero».
Che ne pensa della proposta di Claudio Ranieri e dei cinque cambi a partita. «E’ una proposta giusta. I cinque cambi abbasserebbero il numero degli infortunati. E’ un’idea di buonsenso, ma di difficile applicazione. Non credo l’IFAB sia pronta ad accoglierla».
L’IFAB, l’International Football Association Board, dal 1886 è l’organismo che ha il potere di cambiare il regolamento. Come si sta muovendo adesso? «Spesso si è mossa con innovazioni logiche, ma negli ultimi tempi ciò non è avvenuto».
Faccia un esempio. «Quando tu togli l’involontarietà – per esempio del fallo di mano – hai tolto una parte fondamentale del gioco. Non si può punire sempre il fallo di mano, a prescindere. Non si può costringere un difensore a corre con le mani dietro la schiena. Non è naturale, non è più gioco».
E dunque: sarà “la base dell’ascella” a definire il confine per la punibilità del fallo di mano. E’ una delle misure eccezionali pensate dalla FIFA per l’era Covid 19. «L’ascella…divertente, lasciamo perdere va là…».
Il VAR deve essere ridimensionato? «Non ne capisco il motivo. L’arbitro non può più dire: vedo quello che vedo. Il gol è sacrosanto, lo vogliamo capire? Non si possono più fare errori clamorosi, bisogna cercare di ridurli il più possibile».
Un anno fa lei disse: «Molti arbitri non hanno accettato il VAR, e sbagliano». «E’ vero: molti non accettano il VAR. Sarebbe sbagliato dare più potere all’arbitro centrale sottraendolo ai colleghi davanti al VAR. E’ totalmente sbagliato. L’arbitro era un fenomeno quando non c’era la televisione: non c’era nessuno che poteva contraddirlo. Mi ricordo una volta, a San Siro, Concetto Lo Bello fischiò qualcosa in area senza indicare la decisione. Un giocatore prese il pallone e lo piazzò sul dischetto. E andò bene a tutti. Non è più così. Il VAR aiuta l’arbitro ad alzare la qualità del prodotto calcio, cioè del gioco».
La gente però tende a confondere: il VAR è tecnologia, non è scienza. «Sono d’accordo, ma quando ho bisogno di sistemare il mio telefonino chiamo mia nipote di dodici anni e me lo sistema in due minuti. Sento dire che il VAR – nell’emergenza da virus – non si può applicare perché gli arbitri seduti sono vicini. È una cosa risolvibile, basta prendere un stanza adeguata. A me piacerebbe che l’IFAB spiegasse le sue scelte».
Cioè? «La penso come Infantino: se dobbiamo fare calcio ovunque nel mondo deve essere un calcio senza errori e con un numero di gol che non sia 2 a partita, come prima di Italia 90. Ma queste indicazioni non sono state rispettate dall’IFAB. Tutto è cambiato con l’avvento della televisione. Alla fine degli anni ’30 Annibale Frossi disse: lo 0-0 è il risultato perfetto. Ma non è più così, anzi. La televisione ha cambiato tutto, il calcio ha bisogno di gol, ma – attenzione – non di «troppi» gol. Questo ci riporta al discorso che ti facevo prima sull’equilibrio del mondo-calcio».
Sulla questione del fuorigioco c’è parecchia confusione. «Il fuorigioco merita attenzione, oggi è una semitecnologia. La partenza del lancio del pallone viene valutata un maniera approssimativa, poi però quando giunge al giocatore c’è un’esasperata attenzione sui centimetri. Mi sembra che su una regola fondamentale come quella del fuorigioco di oggi, che annulla tanti gol, si stia andando in direzione opposta rispetto alla volontà della FIFA».
Per il completamento eventuale del campionato in estate si giocherà a porte chiuse. «Siamo di fronte ad una svolta epocale per tutta l’umanità. Io credo che chi ha in mano il calcio si debba fare alcune domande. Quella fondamentale è: che calcio vogliamo per l’estate e per il futuro? Una partita a porte chiuse è vero calcio? Personalmente credo di no. Giocando a porte chiuse non si rischia di perdere l’amore della gente? Non abbiamo pensato che ci abitueremo a un prodotto diverso, solo televisivo, insomma un altro calcio che forse non piacerà più come prima? Qualcuno ha chiesto alla gente se è giusto giocare senza spettatori? E’ la gente il vero padrone del calcio. Siamo noi tutti. Riflettiamoci tutti bene prima di fare certe scelte. Chiediamoci: a cosa stiamo dando origine?».
C’è qualcosa che – dentro al calcio – non le è piaciuto in questo periodo? «Questa emergenza ci sta insegnando che si vince o si perde tutti insieme. Non mi sono piaciuti certi giocatori che appena hanno potuto se ne sono andati dall’Italia. In un momento così si soffre e si gioisce insieme, da squadra».
Con che premesse si dovrà ripartire? «Servirà la massima attenzione e il parere della scienza, se poi ci dovesse essere un calciatore contagiato si passerebbe per avventati o peggio. Oggi è il tempo del Coronavirus, ma sapevamo già – per esempio – che col Mondiale organizzato in inverno in Qatar nel 2022 i campionati prima e dopo quel torneo andranno ricalibrati. E allora non sarà l’emergenza a dettare i tempi dei calendari, ma le scelte della FIFA, dell’UEFA, tutti corresponsabili, senza che nessuno si tiri fuori. Per questo dico: ragioniamo sulla qualità del prodotto che si andrà ad offrire, concentriamoci sulla salute dei calciatori, sull’essenza del gioco e sulla sua bellezza. Io come tutti gli appassionati, di quella bellezza mi nutro».
Corriere dello Sport