Calcagno: “Non ci rendiamo conto di cosa significa non concludere i tornei”

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Parla l’avvocato Calcagno vice presidente dell’Aic (Ex calciatore Avellino e Benevento):

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«Bisogna tornare in campo, lo dobbiamo a noi stessi e al calcio. Meglio chiudere tardi che passare i prossimi mesi nelle aule di tribunale. Faremo la nostra parte, tocca però anche gli altri. Il sistema non è equo: è l’occasione per renderlo sostenibile. Per i presidenti siamo dei soci quando c’è da ripianare le perdite, poi invece… Visite di idoneità per tutti per ripartire».

 

«Bisogna tornare a giocare, lo dobbiamo a noi stessi e al calcio. Noi faremo la nostra parte ma il conto non possono pagarlo solo i calciatori». Umberto Calcagno, avvocato ed ex calciatore, cresciuto nella Sampdoria (debuttò proprio nell’anno dello scudetto), una lunghissima carriera da ala destra tra B e C, è il vice presidente dell’Aic, futuro candidato alla presidenza nella corsa a due che lo vedrà duellare con Marco Tardelli quando il calcio, come il resto del Paese, sarà tornato alla normalità. «Ci sarà tempo – racconta – e ora, chiuso in casa a Rimini, rifletto sulle nuove modalità del nostro lavoro: ero abituato a fare migliaia di chilometri per incontrare i calciatori e i vertici istituzionali, ora è una continua call conference».

 

Già, anche i calciatori si sono piegati allo smart working.

«I nuovi strumenti e l’organizzazione degli staff permettono di seguire da vicino il lavoro che viene fatto dai calciatori a casa, serve anche questo per farsi trovare pronti».

 

A qualche presidente l’idea può piacere: il telecontrollo quando i calciatori saranno in vacanza…

«Spero proprio di no… Siamo già i più controllati del mondo tra i lavori subordinati in questo momento».

 

Ma questo lavoro si fa in campo, tutti insieme. Quando accadrà?

«Non possiamo saperlo, ma abbiamo la responsabilità di lavorare ogni giorno per creare le condizioni per riprendere la stagione e portarla a termine regolarmente. È quello che stiamo facendo con la Fifpro, il sindacato mondiale, che è interlocutore di Fifa e Uefa, per capire quali tecnicismi adottare per programmare anche la prossima stagione». 

 

Tema antico: la sostenibilità del sistema.

«Il nostro mondo dovrebbe essere sostenibile, stabile e solidale. Se si continua a dare di più a chi ha già di più, alla piramide sarà data la spallata definitiva. Ma serve il contributo di tutti, altrimenti i presidenti continueranno a considerarci dei soci quando ci sono perdite, chiedendoci di aiutare ad appianare i conti, e invece dei dipendenti e basta quando ci sono utili. Anche chi guadagna il doppio o il triplo di un lavoratore medio non può rinunciare a cuor leggero a tre-quattro stipendi. Anche i calciatori di Serie C pagano le rate del mutuo».

 

Facciamo un po’ di cifre.

«La metà dei professionisti in Italia ha contratti al di sotto dei 50.000 euro lordi, circa 2.500 euro netti al mese. Non mi sembra che siano loro il problema. E mi dispiacerebbe se qualche presidente, specialmente in C, mirasse alla chiusura della stagione per risparmiare».

 

Per lo stop si è esposto però anche più di un presidente di A, come Cellino e Cairo…

«Solo il virus può determinare la mancata chiusura dei campionati, non certo il risparmio o la convenienza per qualcuno. Forse non ci rendiamo conto di cosa significherebbe non concludere i tornei: un dramma sportivo. E non oso immaginare la serie di ricorsi. Meglio sforare con questa stagione e concluderla in piena estate piuttosto che passare i prossimi mesi nelle aule dei tribunali e partire comunque in ritardo con la nuova annata».

 

In una Serie A che parla sempre più straniero, qual è il radicamento dell’Aic?

«Ogni squadra ha un delegato sindacale, un rappresentante. E il 95% dei calciatori di A fa parte dell’Aic, anche gli stranieri. Compreso Cristiano Ronaldo: è un nostro associato, era attivo nel sindacato già in Portogallo. D’altra parte, anche se l’impegno dell’Aic è soprattutto tutelare chi gioca nelle serie inferiori, ci sono sfide che impatteranno sui calciatori di livello medio-alto. Penso alla Superchampions, alle risorse sempre più spostate sulle competizioni internazionali: in uno scenario del genere, lo scalino più grande non sarà tra A e B ma all’interno della stessa A, tra chi gioca le coppe e chi no». Fonte: CdS

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