Reina: “Che anni fantastici con il Napoli di Sarri. Ecco la verità sul mio addio alla maglia azzurra”

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Ci mettiamo d’accordo per una videointervista con Skype. Pepe mi dice che preferirebbe whats’app e spiega che «su Instagram la registrazione riesce benissimo». Non sono del tutto convinto, lo chiamo e quando, temendo di aver composto male il numero inglese, cerco la conferma – «Pepe, sei tu?» – mi risponde: «Iss’».

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Ma come, in napoletano? «Overo».

Eh, no: a questo punto non riattaccare. Non riattacca. A Birmingham Reina si muove da settimane dietro una porta, quella di casa, stavolta è lei a proteggerlo: «Non esco da diciotto giorni».

Le uscite non sono mai state il tuo forte. (Sorride) «Diciotto giorni oggi».

Diciotto per nove, giusto? «La compagnia non mi manca, siamo io, mia moglie Yolanda, cinque figli e i due suoceri. La casa è grande e la solitudine non vi ha accesso. Però isolato lo sono stato dopo aver accusato i primi sintomi del virus. Febbre, tosse secca, un mal di testa che non mi abbandonava mai, quel senso di spossatezza… L’unico spavento quando per venticinque minuti mi è mancato l’ossigeno, come se la gola si fosse improvvisamente ristretta e l’aria non riuscisse a passare… I primi sei, otto giorni li ho trascorsi chiuso in una stanza».

E poi? «E poi ho cominciato a uscire nelle ore notturne, quando i ragazzi e i miei suoceri dormivano. Una vita a targhe alterne. Faccio ancora attenzione a tenermi a distanza dai genitori di Yolanda, non sono più giovanissimi».

Immagino che ti sia tornata la voglia di giocare? «No, non ne ho affatto. Seguo l’evolversi della situazione, mi informo, vediamo».

Stai vivendo un’esperienza professionale a metà, difficile a questo punto completarla. «Sono in prestito fino a maggio. Ma quale maggio, forse giugno, luglio, agosto… ero venuto a Birmingham perché avevo bisogno di giocare ogni fine settimana, volevo sentirmi di nuovo protagonista e la sfida che mi aveva proposto l’Aston Villa era l’ideale. Adesso non so più quando, né come finirà. Da queste parti la situazione si è aggravata negli ultimi cinque, sei giorni. Le restrizioni sono minori rispetto a quelle italiane, si può ancora uscire per fare una passeggiata o una corsa nel parco, anche se il Governo ha chiesto a tutti di restare il più possibile a casa».

In Spagna le cose vanno assai peggio. «Si sono mossi in ritardo, sono nel dramma, temo che la Spagna supererà l’Italia dal punto di vista dei contagiati e dei morti».

Il tuo legame con l’Italia è sempre solido, nessuno ha dimenticato che lasciasti il Bayern per tornare a Napoli. Fu uno spot eccezionale per la squadra e la città. «Napoli è la mia dimensione naturale, a Monaco me ne accorsi subito, mi resi conto che volevo una vita diversa, esattamente come quella che avevo lasciato. Aggiungici che al Bayern ero dietro a Neuer, la volontà di rientrare fu immediata… Non avrei potuto fare una scelta migliore, posso assicurare che non mi sono mai divertito tanto a giocare come nei tre anni di Napoli con Sarri».

Ma è vero che la prima volta te ne andasti per qualche dissapore con De Laurentiis?
«La verità è molto più semplice: il Napoli avrebbe dovuto riscattarmi dal Liverpool, non si trovarono i numeri e quindi dovetti cercare un’altra squadra. Fu il presidente a riprendermi. Che collettivo…». 

Prego? «Lo spirito con cui ci allenavamo e giocavamo, e la qualità del gioco di quel Napoli. Non vedremo mai più una squadra muoversi in quel modo. Sarri riuscì a portarci al di sopra di limiti e potenzialità. In quegli anni avete visto il miglior Koulibaly, il miglior Mertens, un Allan strepitoso, Albiol una guida formidabile, il contributo prezioso di Callejòn e Insigne. A un certo punto della seconda stagione sembrava che giocassimo a memoria. Non c’erano primedonne, ma grande disponibilità, e umiltà, il nostro leader era il gioco che ci aveva insegnato lui».

Sarri provò a portarti al Chelsea?
«Nessuno dei suoi mi ha più cercato, tanto meno lui».

Al Milan hai vissuto un’esperienza assai diversa. «I presupposti erano altri. I dirigenti mi avevano prospettato la cessione di Donnarumma, il mio progetto personale era quello di fare il titolare. Gigio volle rimanere e io ho avuto spazi ridotti. Grazie a Dio in carriera ho potuto lottare per traguardi importanti e mi sono tolto grandi soddisfazioni, mi mancava una salvezza. Chissà se riuscirò a centrare anche quella, qui a Birmingham».

Per il momento accontentati di salvare lo stipendio. «Una soluzione giusta, il taglio, i calciatori hanno capito perfettamente la situazione e non si stanno sottraendo a quello che è un dovere morale. Giusto partecipare a questa enorme crisi del sistema. Sai cosa mi manca davvero?».

Provo a indovinare. «L’appartamento a Posillipo, il sole. Ho letto che la vitamina D può essere importante nella riduzione del rischio di infezioni respiratorie di origine virale, incluse quelle da coronavirus. Ci sono evidenze scientifiche sulla capacità della vitamina D di contrastare il danno polmonare da infiammazione. Non voglio sostituirmi a un virologo, né dire sciocchezze, se ne ascoltano troppe, ma è curioso che nel Sud della Spagna, così come nel Sud dell’Italia, i numeri siano incredibilmente inferiori a quelli del Nord». 

La Redazione

 

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