Tommasi (Aic) ai microfoni del CdS fa chiarezza sui temi caldi: “Basta così con il campionato”
Il presidente dell'Aic ai microfoni del Corriere dello Sport
Il mondo del calcio si interroga se e quando riprendere a livello agonistico, ovviamente salvaguardando la salute di tutti. Anche i calciatori cercano di dare il loro contributo e il presidente dell’Aic Damiano Tommasi al CdS analizza la situazione. «Non mi sento delegittimato dall’accordo, Chiellini mi aveva informato. Sulla ripresa, sono stato chiaro da tempo: si seguano Governo e scienziati E noi non avremmo problemi a giocare d’estate».
Damiano Tommasi, l’accordo raggiunto tra Chiellini e la Juve va bene anche a lei? «Quando si va d’accordo, va sempre bene».
Ma Chiellini gliene aveva parlato?
«Certo, siamo in contatto da sempre. In casa Juve hanno voluto affrontare la questione prima di altri e sono arrivati alla conclusione, con piena soddisfazione di tutti».
Non si sente delegittimato dal fatto che abbiano anticipato l’incontro dell’Aic con la Lega?
«E perché dovrei. Noi costruiamo una cornice, ma senza togliere autonomia ai singoli e ai club di scegliere diversamente».
Il taglio di un mese e mezzo di stipendio su questa stagione e lo spostamento di altre due mensilità e mezzo sulla successiva è un compromesso onorevole?
«L’accordo raggiunto chiude qui la stagione, rispetto a ciò che si deve percepire. Se anche si tornerà a giocare a giugno e oltre giugno, le spettanze rientreranno nel contratto successivo. È una pattuizione di massima, perché ci sono giocatori in scadenza, altri che stanno per rinnovare, altri in partenza sicura, altri ancora in trattativa. Ogni situazione individuale andrà adeguata».
Ma l’accordo riassume la vostra posizione nella trattativa con la Lega? «La nostra posizione è chiara: stabilire condizioni per il futuro, in assenza della certezza di ricominciare, è difficile. C’è un tema delicato che riguarda il prolungamento della stagione a luglio. Senza un accordo tra le parti nessuno può prorogare un contratto oltre la sua scadenza. Bisognerà sedersi a tavolino e parlarne».
E se non si ricomincia? «Partiamo dall’ipotesi peggiore. Le parole del ministro Spadafora confermano che prima di ripartire dobbiamo mettere al sicuro la salute del Paese. Vuol dire prepararsi all’eventualità che i campionati vengano decretati chiusi. In questo caso l’accordo raggiunto dalla Juve mi pare una base di partenza».
Lei è d’accordo con l’annunciato stop di gare e allenamenti per tutto aprile? «La mia posizione è chiara dall’inizio. E mi è costata anche qualche critica all’interno del mio movimento. Credo che siamo arrivati dopo un mese e mezzo a capire che dobbiamo allinearci alle direttive della comunità scientifica e del governo. Le immagini che arrivano dagli ospedali ci dicono che il nostro miglior contributo è quello di stare in casa. Chiedete ai tifosi di Brescia e Bergamo se non sono d’accordo con me».
Condivide anche le censure morali di Spadafora al calcio, che s’indebita per pagare ingaggi da favola? «Beh, il calcio soffre di liquidità a causa della sua gestione. Anche in questi giorni si continua a parlare di trentacinque milioni per Tizio, cinquanta per Caio e cento per Sempronio. Si spendono soldi che ci sono, o soldi che si promettono e non esistono? Dobbiamo iniziare a chiedercelo».
I medici sportivi sono preoccupati per la vostra salute alla ripresa. «E noi con loro. È un caso che le squadre spagnole, che hanno giocato contro le italiane, sono piene di contagiati? Purtroppo i fatti ci hanno dato ragione, anche se qualcuno i fatti vuole ignorarli. E anela di riprendere a giocare domani mattina».
Pretenderete una verifica di idoneità preventiva per tornare in campo? «Alle condizioni indicate da Maurizio Casasco nell’intervista al suo giornale: è necessario certificare l’idoneità fisica e verificare eventuali esiti. La polmonite interstiziale non è una barzelletta. Soprattutto per chi espone il proprio corpo a correre a cento all’ora».
Ma se a giungo si aprisse la possibilità di concludere il campionato in 45 giorni e poi di disputare le finale di Coppe, voi sareste disponibili? «Saremmo i primi a essere contenti. Vorrebbe dire che le nostre spiagge sono piene di bagnanti».
Esclude l’ipotesi di una ripartenza a porte chiuse? «Non so se sia una condizione di sicurezza. E non dico solo della salute dei calciatori. Noi non abbiamo paura, siamo dei professionisti. Ma c’è sempre il rischio di spostare tra le città gruppi di persone che possono essere portatori di contagio».
Se si trattasse di saltare le ferie quest’anno? «È l’ultimo dei problemi. Noi siamo abituati a giocare ad agosto. Certo, bisogna capire se si riescono a concludere tutti i tornei e quanto durerà la stagione successiva».
Se invece tutto finisse qui, sarebbe giusto assegnare comunque un titolo?
«Si dovrà scegliere la meno peggio. Nessuna decisione accontenterà tutti. Qualche danneggiato ci sarà».
Ma tra lo scudetto alla Juve e nessuno scudetto qual è peggio? «Dobbiamo indicare i nomi delle squadre che vanno in Europa, non decretare per forza un vincitore».
Che effetto le fa la fuga dei campioni juventini dall’isolamento? «Capisco che ognuno desideri tornare dalla sua famiglia. Penso a quanti ragazzi di Lega Pro sono rimasti nelle sedi sportive e non possono vedere mogli e figli. Però non me la sento di giudicare nessuno. Ho una figlia a Londra, l’altro giorno le hanno cancellato il volo. Non vedo l’ora che rientri a casa».
Quei ragazzi di Lega Pro li aiuterà la cassa integrazione? «Potrebbe non bastare. Molti guadagnano trentamila euro, pagano l’affitto e il viaggio. Dobbiamo aiutarli con forme di solidarietà alternative, interne al movimento. Altrimenti non possiamo guardarci allo specchio».
La Redazione