Tardelli non ci sta: “Il mondo va a pezzi ed il calcio sa solo litigare!”

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Marco Tardelli non ci sta. L’atteggiamento del mondo del pallone di fronte a questa sciagura non gli piace e lo dice chiaramente ai microfoni del Corriere dello Sport.

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«Perché? Che cosa è successo?» Cioè, intende che cosa è successo ancora? Giocatori che pigliano e partono, club che fissano la riapertura degli allenamenti in piena chiusura generale del Paese, litigi sulle date di campionati e coppe, ognuno che tenta di far passare la linea che più gli conviene. Non le basta?
«E’ una situazione molto difficile, non c’è dubbio. E tutti devono stare attenti a come ci si muove. L’emergenza non fa eccezioni. Il calcio deve restare compatto, lasciar perdere le polemiche. Oggi litigare è stupido. Anche perché stiamo parlando di un mondo di “privilegiati”, e pregherei di lasciare lì le virgolette. Ci abitano tanti che privilegiati non lo sono affatto. E sono questi che andrebbero aiutati».

Si parla di tagliare gli ingaggi dei calciatori ed ecco che la barca su cui siamo tutti ondeggia. «Tagliare è una brutta parola. Diciamo adeguare».

D’accordo, adeguare. «Io non credo ci siano particolari problemi sotto questo punto di vista. I calciatori si sono sempre dimostrati molto attenti. Non credo proprio ci saranno problemi. Dipende da come verrà studiato l’adeguamento e da come verrà esposto ai giocatori. Io li vedo già che sciamano in piazza, per modo di dire ovviamente, in maniera da essere vicini ai tifosi. Sia i giocatori sia le società, a dire il vero».

Lei come farebbe questo adeguamento degli stipendi? «Avanzare proposte non mi spetta. Ci sono i rappresentanti dei calciatori apposta, e i club dall’altra parte del tavolo. Io mi sono candidato alla presidenza dell’associazione dei calciatori per gestire eventualmente il futuro. Il presente è nelle mani di chi c’è adesso. Conta solo una cosa: fare le cose e farle tutti insieme».

Abbiamo visto e sentito presidenti assumere posizioni pressoché provocatorie: ripartiamo subito con gli allenamenti, torniamo all’attività mercoledì prossimo, poi marce indietro veloci, cose così. «Ma è sempre accaduto, nel nostro ambiente. C’è qualcuno a cui piace sostenere il contrario di ciò che dicono gli altri. Lo trovo normale o quasi. Quello che conta è il punto d’incontro a cui si arriva. Una cosa è sicura: andarsi a cercare le polemiche in questo momento è abbastanza sciocco. Sa qual è secondo me il lato positivo di queste vicende? Il calciatore è tornato a parlare. A occuparsi delle questioni della sua professione. Non si era mai chiesto prima ai giocatori se fosse il caso di andare in campo o meno, se ci potesse allenare in certe condizioni oppure no. Le cose si facevano e basta. In tempi passati e normali, a nessuno veniva in mente di interpellare i calciatori. In un momento così pesante, perlomeno si sente la loro voce».

Non sarà che i giocatori non avevano mai dimostrato interesse per questi argomenti? O c’era un pregiudizio nei loro confronti? La convinzione che non fossero in grado di decidere per sé stessi? «Brutto da dire e brutto da pensare. Io credo che l’associazione calciatori sia sempre stata all’altezza, perlomeno nel periodo in cui è stata retta da Sergio Campana. Quello che doveva ottenere l’ha ottenuto. Se i calciatori non hanno avuto più voce in capitolo non è per loro colpe. Semmai di chi non ha voluto ne avessero. Adesso però devono tornare al centro del campo. E’ il loro posto».

Per questo si è candidato alla presidenza dell’associazione? «In questo periodo non voglio parlare della mia candidatura. Non sarebbe logico, non sarebbe adeguato. E’ il momento dell’unità e io sono d’accordo con l’attuale presidente Damiano Tommasi, con le sue battaglie. Deve dirmi lui se ha bisogno del mio appoggio».

Alcuni giocatori, cominciando da Higuain, Pjanic e Khedira, hanno preferito lasciare l’Italia. Approva? «Voglio pensare alla buona fede. Mi sembra che Higuain avesse problemi con la salute della madre e ha voluto starle vicino. Mi auguro sia questa la verità, certamente lo è. Gli altri non avrebbero dovuto farlo. Per rispetto di tutti, non solo dei tifosi. Sei venuto momentaneamente in questo Paese, che ti è sempre stato vicino e che adesso ha problemi. Credo bisognerebbe uscirne insieme. Poi capitano anche cose sgradevoli come la positività al Coronavirus di Dybala e della compagna. Ma lui è rimasto. Ha subito il contagio ed è qui. Non si deve scappare. Si accettano i lati positivi e quelli negativi delle proprie scelte. Perché siamo una squadra, che ora è grande come l’Italia intera. Si combatte tutti insieme».

E si ritorna alla questione dell’unità. «Se diamo l’esempio sbagliato, gli altri lo recepiscono e fanno la cosa sbagliata».

I tifosi se ne ricorderanno? «Non lo so, non ne ho idea. Tra l’altro vediamo quando coloro che sono usciti potranno tornare. Ciascuno di loro avrà grossi problemi nel suo Paese. Noi siamo stati i primi ad affrontare questo dramma e non voglio neppure giudicare se l’abbiamo fatto bene o male, se abbiamo sbagliato i tempi oppure no. Sto alle regole dettate dal governo e ascolto i virologi. Comunque l’Italia è più avanti degli altri Paesi. Siamo stati onesti e stiamo lottando. Dobbiamo essere noi che abbiamo più visibilità di altri a dare una mano a eliminare la minaccia».

Tornare alla vita normale, qualsiasi cosa significhi. Significa anche giocare. «Ci vorrà tempo. Credo sia inutile parlare di campionati, di coppe, di date. Bisogna concentrarsi sulla salute delle persone. Non è finito niente, purtroppo. E temo che quanto abbiamo fatto all’inizio di questa vicenda non abbia aiutato».

Lei era stato tra i primi a chiedere di fermare il calcio. «Vero, ma la mia voce non è la voce di un virologo. Io volevo solo aiutare i calciatori a farsi sentire. Chi abbia preso la parola per primo non conta. Bisogna convivere con questa realtà e combatterla».

Quindi forse è meglio non discutere neppure di conclusione delle competizioni: si rischia di esasperare la gente, che pensa a tutt’altro. «Può essere. Però io vedo tanti colleghi ed ex colleghi calciatori impegnarsi sui social, raccogliere fondi, stare accanto ai tifosi. E’ qualcosa che ha un peso. E anche i club: penso alla Fiorentina, ma in tanti hanno varato iniziative. Il mondo del calcio, almeno il calcio che conosco io, ha sempre fatto cose buone. Io credo che questo la gente lo avverta. Poi, chi vuole seminare zizzania lo farà».

Triste un mondo in cui tutto lo sport è costretto a fermarsi. «Eppure è necessario. Abbiamo visto il periodo iniziale dell’epidemia con ottantamila persone allo stadio, oppure porte chiuse e trentamila fuori dello stadio. C’è stata un po’ di stupidità e in alcuni casi continua a esserci. La stupidità non può essere totalmente debellata. Forse, è persino un bene, altrimenti vivremmo in un mondo abbastanza piatto. Abbiamo commesso errori e ora stiamo facendo il massimo. Altrove continuano a commetterne. Per meglio dire: siamo noi che dobbiamo fare il massimo, noi che dobbiamo stare a casa, noi che dobbiamo stare lontani l’uno dall’altro. Se mi chiedono di calcio, qualcosa credo di poter raccontare. Se di come va affrontata un’epidemia parlano i virologi, allora bisogna starli a sentire. Non andare su Internet e dar retta a chiunque. Affidiamoci a chi sa, a chi ha studiato».

Il calcio ci manca. «Enormemente. E non solo il calcio. Ma non è ancora tempo di parlare di ripresa del campionato. Oppure, parliamone come speranza. E’ legittimo. Ma non possiamo discutere di date, in questo momento».

Però è di questo che si sta parlando. «L’ha detto anche lei. Non c’è solo il calcio. E negli altri sport non vedo tutta questa confusione. Vero che il calcio per noi è una faccenda diversa, anche a livello economico. Ma le Olimpiadi, la Formula 1 e tutto il resto? Si può solo andare avanti passo dopo passo. non vedo altre soluzioni. L’unica è stare a casa, oggi come oggi. Ce lo chiede chi sta lavorando, chi è in prima fila. Tutti quei medici morti. Lo dobbiamo a loro. Noi facciamo solo dei gol e, sì, permettiamo a molti di esultare la domenica. Ma oggi vale chi sta lottando per la vita, la sua e degli altri».

E’ la nostra ora più buia? «Non posso dire che sia come la guerra. Non l’ho conosciuta. Però mi sembra qualcosa di molto simile. Solo che in guerra ti venivano a stanare. Il Coronavirus puoi evitarlo standotene tranquillo in casa tua. Abbiamo tante chance in più, approfittiamone. I soldi vengono e vanno, la guerra ha distrutto tutto eppure siamo riusciti a ripartire. Ce la faremo anche in questa situazione, se tutti lo vogliamo».

Ma lo vogliamo tutti? Talvolta sembra che qualche politico, come qualche dirigente sportivo, cerchi solo di trarre profitto dalla situazione. «Evidentemente non tutti la comprendono appieno, la situazione. I soldi, il potere: non possono essere il fondamento di tutto. Né politici né presidenti devono fare polemica in questo momento. Nessuno deve farne. Dobbiamo trovare un modo, tutti insieme, di venirne fuori. Eppure, esempi ne abbiamo avuti: ci sono squadre in cui hanno avuto qualche contagiato, altre che non lo sanno perché non si fanno i test. Non raccontiamoci balle, soprattutto. L’unico modo di rimettere tutto a posto è aiutarci l’un l’altro. Questa cosa colpisce chiunque, non ci sono né ricchi né poveri. Sento qualcuno dire: fanno i tamponi ai calciatori e non li fanno ai medici. Ma se sono gli stessi medici a dire che non serve farli a tutti, se non ci sono sintomi. I calciatori sono anche un investimento, una voce del bilancio. Vanno controllati e comunque sono stati testati quelli che avevano avuto contatti evidenti con persone che poi si sono ammalate».

Alcuni epidemiologi pensano che il focolaio bergamasco sia stato alimentato dalla partita tra Atalanta e Valencia.
«Non lo so. Nessuno può averne la certezza. Però, avremmo potuto fare di più».

A parte Higuain, la sorprende il fatto che la Juventus, club rigido se mai ce n’è stato uno, abbia consentito ai suoi giocatori di allontanarsi dall’Italia? «Dipende dagli accordi che ci sono tra i calciatori e la società. Avessi dovuto decidere io, non lo avrei consentito».

Forse c’entra l’effetto Ronaldo: non potete negare a noi ciò che concedete a lui, pensano magari i giocatori. «Potrebbe essere. Ma è qualcosa che attiene ai rapporti tra i singoli e il club. Dico solo che i giocatori avrebbero fatto bene a rimanere tutti insieme, qui in Italia».

Quando tutto questo sarà alle spalle, quanto tempo servirà ai calciatori per tornare quelli di prima? E qui parliamo di calcio, ha facoltà di rispondere. «Tutti i giocatori di Serie A hanno in casa il necessario per tenersi in forma. Il fisico tiene. Certamente per rivederli correre ai livelli usuali ci vorrà un po’ di tempo. Io penso che ci sarà una tale voglia di giocare, motivazioni così forti che molte difficoltà verranno superate di slancio. Uscire da un tunnel di questo genere fornirà energia. Spero che questa vicenda possa fare bene a tutti».

A tutto il calcio? «A tutti noi. Che guarderemo la vita in una maniera diversa. Questa esperienza c’insegnerà che continuare a massacrare la natura come stiamo facendo è male. La natura pensa da sola a presentare il conto. Il calcio, ma non solo il calcio, dovrà capire che è arrivato il momento di ridimensionarsi, di calmierarsi. Dobbiamo rivedere un po’ tutto, comprendere dagli errori del passato come garantirci un futuro. Io penso che possa accadere. Anche se l’essere umano ha la memoria corta».

Lei come sta vivendo questo periodo? «Sto a casa. Io a Roma, gli affetti a Milano. E’ dura. Poi, penso che c’è chi non ha potuto dare l’ultimo saluto a chi se ne andava. Penso agli anziani, l’enciclopedia del nostro Paese che non possiamo permetterci di perdere».

Con quell’urlo dell’82 Tardelli è diventato il simbolo dell’emozione non trattenuta. E adesso siamo qui che non possiamo neppure abbracciare chi amiamo. «M’immagino un urlo collettivo di liberazione, che scacci l’incubo. Ho cominciato a parlare con i vicini di casa. Dal balcone. Non mi era mai passato per la mente. Adesso ci salutiamo, ci scambiamo auguri e impressioni. Non avremmo dovuto aspettare questi momenti per farlo. La vicinanza, l’allegria, l’ironia: forse ci salveranno».

Fonte: CdS

 

 

 

 

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