L’ex azzurro Dzemaili da Hong Kong: “Sono in ansia per il mio bambino che non è con me”
Intervistato dal Corriere dello Sport l'ex azzurro Dzemaili parla della situazione legata al Coronavirus.
L’ex azzurro Blerim Dzemaili, ai microfoni (telefono) del Cds parla della quarantena in Cina e delle sue preoccupazioni di padre:
Sei ancora ad Hong Kong? «Sì, sono in attesa del visto per raggiungere Shenzhen. Per il momento mi sto allenando in palestra con il preparatore del club».
E quando arriverai, sarai probabilmente sottoposto al tampone e anche se negativo sarai messo in quarantena per due settimane, giusto? «Penso di sì, come è accaduto a tutta la squadra. In Cina stiamo parlando di un’organizzazione assolutamente perfetta, un modello che tutto il mondo dovrà seguire».
Sai cosa ho pensato quando hai deciso di lasciare il Bologna per raggiungere Donadoni allo Shenzhen? «Ma chi gliel’ha fatto fare a Dzemaili, considerato quello che sta accadendo in Cina?».
Ci hai preso. Ora, alla luce dei fatti, dobbiamo dire che invece avevi visto lontano. «Sì, perché ora la Cina ha saputo sconfiggerlo questo maledetto virus, sono stati bravissimi, fin dal paziente zero hanno addirittura sigillato le case, chiuso paesi e città, e i risultati di oggi evidenziano che l’Italia, la mia Svizzera e tutti gli altri Paesi dovranno comportarsi come si sono comportati in Cina. Là è servita la repressione? Bene, servirà anche in Europa, perché per mantenere la vita uno deve essere disposto a fare anche il sacrificio più duro. E sono felice che ora ci sia questo ponte umanitario tra la Cina e l’Italia, chi ha un’esperienza per quello che ha vissuto è legittimo che dia una grossa mano a chi è ancora in mezzo alla bufera. Io posso dire agli italiani solo una cosa che hanno già detto gli uomini di scienza: restate chiusi in casa, perché la Cina ha dimostrato che il coronavirus si può sconfiggere solo in questo modo, rispettando giorno dopo giorno le regole».
Ma tu come lo stai vivendo oggi?
«Leggo, mi chiamano amici, mi raccontano cosa sta accadendo in Italia e in Svizzera. Tutti questi morti, soprattutto in Lombardia. Poi sono in ansia per il mio bambino».
È ancora a Bologna?
«No, è con la mia ex moglie da un’altra parte».
Ascolta, Blerim, perché te ne sei andato?
«Per due motivi. L’esperienza cinese mi affascinava, quando Donadoni mi ha chiamato per domandarmi se ero interessato, gli ho risposto subito sì. Forse neanche il mister si attendeva questo mio decisionismo. Poi il fatto che il Bologna non mi avesse ancora proposto il rinnovo del contratto».
Dai, ti sei sentito come abbandonato dal Bologna, essendo il capitano.
«No, no, perché abbandonato? Ho capito che la società aveva fatto legittimamente altre scelte e ne ho preso atto con grande serenità».
Mihajlovic, però, non ha cercato di trattenerti?
«Ho parlato a lungo con lui, gli ho evidenziato quella che poteva essere una mia scelta e Sinisa mi ha detto di fare quello che mi sentivo. Di sicuro Mihajlovic e tutto la staff non mi avrebbe mai messo alla porta, con i rapporti meravigliosi che c’erano tra noi. Ma io dovevo guardare anche al mio futuro».
Ti chiedo: se il Bologna ti avesse proposto il rinnovo, quale sarebbe stata la tua decisione?
«Sarebbe stato diverso. O meglio…».
O meglio?
«Sarei stato più combattuto, ci avrei pensato qualche giorno di più. Ma chissà, avrei anche potuto ugualmente scegliere di giocare nella squadra di Donadoni, nonostante la stima e l’affetto infiniti che ho nei confronti di Sinisa».
Sinisa, luglio, la notizia della sua malattia quando il Bologna era già in ritiro.
«Anche se per un altro verso la nostra annata è stata surreale da subito, quello che è accaduto a noi avrebbe ammazzato una squadra normale. Ma non il Bologna, soprattutto non il Bologna di Mihajlovic, che già dopo 5 mesi era, si comportava e giocava a sua immagine e somiglianza».
Hai mai avuto paura che il Bologna potesse retrocedere?
«Non scherziamo, noi Sinisa ce lo avevamo addosso, dentro, è come se i suoi consigli, i suoi rimproveri e anche le sue urla fossero registrati nella testa di ciascuno di noi. Poi va detto che sono stati grandi tutti gli uomini del suo staff, soprattutto per un motivo».
Quale?
«Non si sono mai sostituiti a Sinisa, e spesso e volentieri nonostante la loro grande competenza sono stati la sua voce, hanno fatto da megafono. Poi hanno avuto orecchie per tutti noi, dai più giovani a noi giocatori più esperti. Eppure credimi, fare a meno di Sinisa è un problema, perché non stiamo parlando di un allenatore normale, ma di un allenatore condottiero e di una persona fantastica. Non è un caso che dal giorno del suo arrivo a Casteldebole il mondo del Bologna sia stato rovesciato come un calzino».
È un luogo comune dire che il Bologna ha giocato anche per Sinisa?
«Se ti rispondo sì, prende l’aereo e viene a menarmi a Hong Kong. Sinisa ci ha sempre detto che dovevamo giocare per la società, per i colori, per la gente e non per lui, anche se ti confesso che una reazione nervosa l’abbiamo avuta. Il resto lo ha fatto ciò che Sinisa aveva seminato prima, perché questo Bologna sapeva sempre cosa doveva fare e come doveva farlo».
Qual è il momento che tu non dimenticherai mai di questa annata? Forse la visita all’ospedale per salutare Sinisa dopo la clamorosa rimonta di Brescia?
«No, quando ce lo siamo ritrovati in albergo due ore prima della partita di Verona. Ti confesso che quelli sono stati momenti estremamente emozionanti, piangevo io e piangevano tanti miei compagni, l’unico forte era Sinisa».
E qual è l’arrabbiatura di Mihajlovic che più ti è rimasta addosso?
«Dopo il pareggio in casa contro il Parma, ce ne ha dette di tutti i colori. Meno male che il mio gol a tempo scaduto ci aveva consentito di pareggiare, altrimenti ci avrebbe attaccato al muro».
Come, dopo la partitaccia contro il Sassuolo è stato zitto?
«C’era la sosta per la nazionale, altrimenti il giorno dopo ci avrebbe ammazzato. Comunque, le sue incazzature non pensiate che siano figlie del risultato».
In che senso?
«A volte abbiamo perso e ci ha detto bravi ugualmente. L’importante è che il Bologna giochi con coraggio, sia intenso, aggressivo e non abbia paura mai di niente e di nessuno. Neanche quando giochiamo contro le grandi squadra».
Con Sinisa da subito, questo Bologna avrebbe potuto lottare per l’Europa?
«Sinisa conta molto, non lo nascondo, ma anche con Sinisa sarebbe stata ugualmente dura. E vuoi sapere perché?».
Certo.
«Al Bologna manca un attaccante da 15-20 gol, tutto qua. Guarda le squadre che ci sono davanti e ti potrai accorgere che tutte hanno questo tipo di attaccante. Aggiungo un’altra cosa».
Aggiungila.
«Con un attaccante con tanti gol addosso e Lyanco ce la saremmo giocata fino alla fine, questo è sicuro. Attenzione, Palacio è un fuoriclasse, ma Sinisa lo ha impiegato là non avendo il grande bomber».
Ecco, se fosse arrivato Ibrahimovic…
«Se fosse arrivato, ma Ibra ha scelto il Milan».
Ci sembra di capire che solo acquistando un grande attaccante il Bologna potrà pensare all’Europa, giusto?
«Giusto, è il primo investimento importante che la società dovrà fare per puntare in alto».
E quali sono gli altri?
«Uno o due grandi difensori, anche se non dimentichiamoci che Danilo e Bani stanno facendo bene. Dammi retta, la differenza la fanno gli attaccanti e caso mai i centrocampisti. Ma in mezzo il Bologna ha qualità».
Qual è il tuo ex compagno che maggiormente ti ha impressionato?
«Tomiyasu è una forza della natura, non ho mai visto un giocatore ambientarsi in Italia come si è ambientato lui nel giro di due mesi. Diventerà un grandissimo».
E Schouten come lo vedi?
«È un buon giocatore, se gli metti due giocatori vicino viene fuori. Secondo me è molto legato a chi gli gioca accanto».
E il giocatore più importante del Bologna chi è?
«Per come gioca il Bologna, per quelli che sono i meccanismi di Sinisa, di sicuro Soriano».
Il desiderio forte di tutta l’Italia del calcio, a cominciare dalle istituzioni, è quello di finire il campionato, anche a costo di oltrepassare il 30 giugno, coronavirus permettendo, si intende.
«Io tifo affinché ciò avvenga, anche perché vorrebbe dire che il virus è stato debellato. Ma in questo momento è meglio pensare al dramma con il quale devono convivere tantissime persone, niente è più importante della salute e della vita».
Certo, ma ti domando: nel caso in cui non fosse possibile portare a termine il campionato, quale sarebbe la soluzione migliore?
«Playoff per lo scudetto, playoff per il settimo posto e playout salvezza. Anche il Bologna, il Parma, il Verona, e cioè tutte quelle squadre che a oggi sono in una posizione comfort, devono eventualmente tornare in campo. Ora se il calcio per cause di forza maggiore non potrà ripartire è un conto, ma se potrà farlo, mi sembrerebbe ingiusto che ci fossero squadre il cui campionato si è fermato a fine febbraio». Fonte: CdS