Ricchi, belli, spesso famosi, ma uomini, con il mal d’Africa che s’avverte nella pelle e si intrufola nel cervello. La Coppa d’Africa è una tempesta (in)controllabile che i padroni del football vorrebbero ricollocare in inverno, tra le suadenti musiche della Champions e il tintinnio del danaro. Così, un esercito di talenti, si metterà (giustamente) in marcia per la Patria, avvertirà il richiamo delle proprie origini, e cambierà «frullatore». La coppa d’Africa più recente – e si è giocata nell’estate scorsa e s’è chiusa il 19 luglio con il successo dell’Algeria (di Mahrez) sul Senegal (di Mané) – è il tormento del corpo e dell’anima di Kalidou Koulibaly, uscito stravolto da quei trenta giorni in apnea, ad inseguire il sogno, e rimasto poi scioccato non dalla sconfitta in sé ma da una fatica immane, che l’ha costretto ad inseguire l’ombra dei propri ricordi, della sua figura prima dominante e poi invece appassitasi, non avendo avuto per sé che pochi giorni di vacanza e neanche uno di ritiro. Ma sarà sempre peggio, e varrà per i Mané e per i Salah, per gli Ziyech ed i Mahrez, per chi ad un certo punto scoprirà di aver investito decine e decine (centinaia?) di milioni di euro che un venticello caldo su muscoli sgualciti finirà per trascinare tra le dune. E il calcio rischierà di trasformarsi in un Safari.
CdS