«La strada è quella cinese, non ci sono dubbi. Bisogna stare a casa, punto e basta. Poi ci sarà il tempo per tutto, anche di tornare a giocare a calcio». Fabio Cannavaro è da meno di 48 ore tornato a Guangzhou, in quella Cina dove tutto è cominciato e dove tutto lì, adesso, sta finendo.
Cannavaro, c’è apprensione da parte sua nel tornare in Canton? «No, ma nonostante abbia trascorso assieme ai ragazzi del mio staff le ultime due settimana a Dubai con la squadra, le autorità cinesi ci hanno imposto la quarantena in quanto italiani. Sembra paradossale perché dall’Italia manco da 20 giorni, ma le regole sono ancora più rigide adesso e vanno rispettate alla lettera. Il peggio in Cina è passato ma con noi, gli iraniani, i coreani e i giapponesi vogliono essere prudenti. E così per i prossimi 14 giorni dovrò stare nell’hotel del club nonostante sia negativo a ben due tamponi e pure le analisi del sangue abbiano accertato che non ho il coronavirus. Ma per loro non basta. Va bene così, perché le regole non si discutono».
È tornato in Cina dopo un mese e mezzo: cosa è cambiato? «Tutto. Ed è un segnale di fiducia anche per noi in Italia. Il giorno che sono andato via, sulla strada che porta all’aeroporto ho trovato almeno 10 posti di blocco della polizia che fermavano le persone per controllare la febbre. E a ogni posto di blocco c’era un’ ambulanza perché se avevi qualche decimo ti portavano in ospedale, costringendoti all’isolamento. Era una città spettrale, nonostante di casi di contagio non ce ne fossero stati tantissimi. Ora è tornata la vita, dal terrazzo sento le voci delle persone che passeggiano, gente che va ai ristoranti, le luci accese dei locali. L’emergenza sembra alle spalle. Ma anche a Wuhan: ho appena visto un telegiornale che mostrava le immagini delle fabbriche che riaprono».
Ha paura per la sua famiglia a Napoli? «Certo che ce l’ho. Stanno tutti lì adesso. Ma con loro sono stato categorico: state a casa, non uscite. Non è una banale influenza, lo abbiamo pensato e abbiamo sbagliato. Solo così si batte il coronavirus che ha una aggressività unica. Bisogna proteggere i nostri genitori, i nostri nonni ma anche noi stessi. Andrea, mio figlio, qualche giorno fa pensava di andare a correre a via Caracciolo: ha avuto una cazziata come mai in vita sua»
Cosa la preoccupa? «L’unico modo per vincere questa guerra è restare a casa. Punto e basta. Mi pare che questa cosa sia chiara a tutti adesso perché non ci sono altri modi per evitare che le nostre strutture ospedaliere possano andare in tilt per gli eccessivi arrivi di malati gravi. Sappiamo quali sono le condizioni dei nostri ospedali, chi continua a ragionare come se il problema non lo toccasse deve andare in un manicomio. E su questo ha ragione il governatore De Luca».
Il calcio si è mosso in ritardo? «Ma certo e infatti adesso conta i contagiati. Quanti ne sono? Aumenteranno perché nessuno ha compreso la gravità della situazione. Assurdo. Capisco il business perché non sarà facile per tanti presidenti a fine anno far tornare i conti, ma qui siamo davanti a una emergenza sanitaria senza precedenti. Magari un mese fa non era chiaro a tutti, ma da un paio di settimane non si può più nascondere. Ora dopo l’Italia si fermano Germania, Spagna, Francia. Ma prima, dovevano farlo prima. E anche le coppe europee si sono trascinate per troppi giorni senza che ci fosse uno che prendesse la decisione più logica: non si gioca. Perché non si può giocare con una pandemia».
I presidenti hanno litigato su tutto. «Ho letto. Ora che cosa pensano, di riportare i giocatori ad allenarsi? No, lo stop deve essere assoluto. Per due settimane non ci si allena neppure, ognuno resti a casa sua, lontano dai centri tecnici. Vale per tutti. Non si scherza più. Non si gioca e non ci si allena. Come qui in Cina: se tutto va bene torniamo in campo a metà maggio come è giusto che sia»
In questa emergenza, lo scudetto ai playoff? «Potrebbe dare vivacità a questo finale di torneo, perché no. È una formula che può divertire: credo che sia importante portare a termine i campionati, anche per la gente. Sarebbe il segnale di quella normalità che tutti adesso sognano arrivi il prima possibile».
A suo avviso Europei e Olimpiadi che fine faranno? «Penso che la priorità da noi sia concludere i campionati nazionali e quindi non sarebbe un problema posticipare l’Europeo. Per i giochi olimpici è diverso, perché nessuno più dei giapponesi sa far fronte a grandi emergenze come nel passato i terremoti e lo tsunami. Qualcosa faranno per evitare che salti tutto».
Fonte: Il Mattino