La sigaretta brilla nel buio, volteggiando nel vuoto. Lì, sulle rampe di Sant’ Antonio la notte che avvolge la città custodisce ricordi. Li rievoca dal buio. La notte e le sue luci tremolanti in fila lungo la penisola. Con il Vesuvio che è un’ ombra gigantesca nell’ombra. “Ed il gol contro il Milan, dove lo metti? Giordano che crossa e lui, Diego che aggancia e senza che la palla tocchi terra, sempre di sinistro, la infila. Prodigio“. Ciro guarda la sigaretta terminata che ha lanciato nel vuoto, ne segue la traiettoria volteggiante. “Pure quello con la Sampdoria, di testa, raso terra. Te lo ricordi?”. Domenico lo guarda. Sorride. Annuisce. Si stira sulla ringhiera. “Tu ci stavi a Empoli, neh, Cirù'”? “Quando?“. Domenico stende le gambe. Poggia il mento sugli avambracci. Come volesse addormentarsi. “L’anno dello scudetto regalato al Milan. Quello della rimonta. Quello che ancora nessuno sa perché. Andammo ad Empoli. Facemmo zero a zero. Non se lo ricorda nessuno. Una partita che non si ricorda nessuno. Io si. E sai perché? Perché lì vidi cosa sia stato il genio. Quello autentico. Quello che viene dal guizzo improvviso, dalla rapidità di un pensiero. Quello che solo il dio del calcio può partorire. E non fu un gol, no. Fu una magia. Strofinata fuori dalla lampada di un genio“. Ciro si accende un’altra sigaretta. Domenico accende il ricordo. Due amici, alle due di un mattino di primavera, con il Napoli nel fil rouge infinito della mente. Perché il Napoli c e’ sempre. A Napoli. Il calcio è racconto di vita. Come sempre. “Fini zero a zero. Una partita malinconica. Dimenticata. Uno sbadiglio perpetuo. Eravamo sui tubolari di quello stadio. Tribune in legno e ferro. Il campo a cinque metri. Il cielo cupo. In campo il Napoli vagava. Annoiato. Una giornata senza voglia. Succede a volte. Avevamo avuto una bella accoglienza. Gente dalle finestre a salutarci mentre sciamavamo verso lo stadio. Da conquistatori. Il punto glielo potevamo anche concedere. Il torneo sembrava in cassaforte. Io me lo ricordo come fosse ieri, e non trent’anni fa. Una rimessa laterale. Innocua. Stupida. La palla tra le mani, senza sapere a chi passarla. Nell’indolenza generale di un secondo tempo che filava via nel crepuscolo di marzo. Diego si avvicinò. Trotterellando. Si battè il petto come a dire: Dammela! Ai suoi lati due giocatori dell’Empoli come dioscuri a marcarlo. Due guardiani che lo custodivano, timorosi che sprigionasse il genio. L’azzurro si rigirava, la palla dietro la nuca tenuta alta. Non sapeva cosa fare. Cercava qualcuno. Non c’ era nessuno. Allora vidi Diego arrivare deciso. Lì, a dieci metri da noi, infreddoliti e perplessi. Si percosse il petto con la mano e lo udimmo gridare: Qui! Un ordine deciso. Impossibile da ignorare. Un dio che ordina non lo puoi ignorare. Mai. Lanciò la sfera. Diego le andò incontro. Con i due legionari al fianco in marcatura ossessiva. La palla viaggiò in area, in direzione del suo petto. Ed allora, improvvisamente, Maradona fece una cosa stupefacente. Qualcosa che solo chi ha dentro sé il gene del diabolico che appartiene ai grandi del football può essere in grado di fare. Maradona si chinò in avanti. Lasciando passare la palla sul suo tronco proteso. Si raggomitolo’ su se stesso, e si riscosse in un momento. I due giocatori dell’Empoli persero l’equilibrio. Scartarono come cavalli imbizzarriti. Cozzarono tra loro. Diego si divincolò via. Dalle tribune si levò un boato di stupore. La palla filò via sul prato, veloce, diritta. Careca, quel demonio, chissà come aveva già intuito. In un lampo era già palla al piede, il campo spalancato dinanzi a lui, lanciato verso la porta dei toscani. Arrivò in area, defilato e tirò forte, inseguito da mezza squadra dell’Empoli. Scheggiò la base del palo. E fu la sola occasione da rete vera di tutta la partita“. Domenico si ferma nel racconto. Guarda Ciro. Sorride. “Fu inaudito. Non se lo ricorda nessuno. Sembra una stupidaggine, io non l’ ho mai dimenticato. Si, era un genio inarrivabile. Il genio della lampada”. Domenico guarda lontano. Mentre Ciro lancia giù, nel vuoto, la sigaretta dalla punta scintillante. Ad illuminare il buio. Che evoca ricordi di un calcio appartenuto ad un dio.
a cura di Stefano Iaconis