Quell’ anno fu incredibile. Chiudemmo a 41 punti. Fa sorridere, detta così. Nell’era dei tre punti e dei titoli che si vincono a quota cento. La Juve, sempre lei, ci finì davanti. Appena due punti in più. Dopo un testa a testa leggendario. Deciso in un giorno di aprile luminoso ed indimenticabile. Un giorno infausto. Il 6 Aprile. Del 1975. Lo bandimmo dal calendario per lungo, lunghissimo tempo. Quel Napoli resta nella memoria. Per molti motivi. Vinicio, ed il suo modulo olandese. Pressing, gioco corto. Una macchina perfetta. Mai vista prima, dalle nostre parti. Macinava gli avversari, quel Napoli. In casa. Tutte vittorie, tranne un pareggio con la Lazio. Ed una sconfitta. Con la Juve, naturalmente. In trasferta però era tutt’altra storia. Altro motivo per il quale, quella squadra, resta nella memoria. Vinse una sola partita. L’ultima, a Varese. Una vittoria di Pirro. Non fu mai capace di tornare dai suoi viaggi lontani dal San Paolo, il Napoli, con quelli che allora erano i due punti. Un sacco ed una sporta di pareggi. Alcuni sanguinosi. Costarono il titolo. Una formazione meravigliosa a Fuorigrotta, pavida e tremebonda in trasferta. Tranne che in quel giorno di aprile. Dove fu magnifica. Superba. Ma sfortunata. E derubata dal destino. E da un core ‘ngrato a nome José Altafini. All’andata, in dicembre, era finita 6 a 2 per i bianconeri. In uno stadio allagato di azzurro, prima pronto a lanciare la sfida e poi, alla fine, silenzioso e mortificato. I bianconeri dominarono. Passando come un rullo. Capaci di irridere la straordinaria tattica del fuorigioco, modello oranjes, tessuta nel suo modulo infarcito da uno stuolo di idee innovative da Luis Vinicio. La legge eterna del più forte. Partita anche sospesa, a due minuti dal termine, per una bottiglietta galeotta partita dal settore distinti, che aveva centrato il guardalinee Zamperi. Reo, mai confesso, di non aver sbandierato un paio di fuorigioco più che millimetrici. Lampanti. Dettagli. Che fecero la storia. Il San Paolo venne squalificato per due turni. Il Napoli li giocò in campo neutro a Roma. E furono due vittorie. Quei due punti frutto della batosta a domicilio, resistettero per tutto un girone intero, fino alla partita di ritorno. Ad aprile. Al comunale. In un giorno di sole. E lacrime. I soliti diecimila napoletani al seguito, ad inseguire il sogno. Il Napoli in campo con autorità. Gioco totale. Oggi si chiamerebbe possesso palla. Davanti Clerici, Massa e Braglia. Alla fine del torneo segneranno 38 gol in tre. Un record per l’epoca. Carmignani in nero, la linea difensiva con Bruscolotti, Pogliana La Palma e Burgnich. A centrocampo Orlandini, Esposito e Iuliano. Per il titolo. Per il sogno. Ma segna Causio. Di destro, all’incrocio. Dopo una manciata di minuti. Al solito. Un tiro, un gol. Sorniona. Senza strafare. Ma è un pomeriggio luminoso. E quel Napoli è pur sempre capace di segnare. Perché sa attaccare. Con la voce di Ameri, il maestro, che rulla mille parole per descrivere il vortice azzurro. Spinto dai soliti diecimila. Massa tira alto di un nulla. Poi Zoff lo ferma in uscita. Capello colpisce, una traversa. E la voce di Ameri, il maestro che evoca sogni con le parole, che grida “Attenzione! Ha pareggiato il Napoli. Iuliano, con un destro appena da centro area. Servito da Massa in azione personale. Uno a uno”. E la Juve trema. Quei due punti sono lì per essere annullati. La domenica seguente il Napoli avrà la Ternana, loro a Cagliari. Contro i sardi. Andrebbe bene perfino così. Si gongola. Ma il destino è in agguato. Fu quel giorno che nacque la zona Juventus. Poi perpetuata nel tempo. Una nemesi sportiva sorta dal ventre delle Parche. Che da quel momento filarono sempre e solo in una direzione. Il destino si chiamò Altafini. Il brasiliano che veniva proprio da Napoli. Al declino della carriera. Con la zazzera castana che andava diradandosi sulle tempie. Ci aveva fatto gol anche all’andata. Si alza dalla panca quando alla fine mancano una manciata di minuti. E su un angolo nasce una mischia nell’area azzurra. Mentre la clessidra del tempo non contiene che un pugno minuscolo di sabbia. Saltano in molti. Carmignani esce male, Cuccureddu dal limite colpisce la base del palo. La palla schizza sul piede di Altafini che la poggia in rete. Comodo. Poi finisce. Come poi sarà ogni volta contro di loro. Il soffio di un vento che spira sempre contrario. Da quel giorno. Quando core ‘ngrato ci levò il sogno. Il 6 di aprile, quando nacque ogni paura. Vestita di bianco e nero.
a cura di Stefano Iaconis